“Segno di salvezza e di speranza per coloro che dalle tenebre anelano alla luce”.
Riflettiamo
Gesù è proclamato “Luce del mondo”. Convertirsi al Signore è descritto come passare dalle tenebre alla luce. Testimoniarlo con la vita e annunciare il suo Vangelo è come portare la luce, diffondere la luce a tutti. Tutti quelli che, invitati da Gesù, lo seguono, credendo ed abbandonando ogni cosa, entrano a far parte del Regno. In questa Domenica della Parola di Dio e all’interno della Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani, accogliamo la presenza del Regno di Dio in mezzo a noi, perché possiamo esserne gli annunciatori con la testimonianza della fede e della carità.
Per la preghiera
O Dio, che hai fondato la tua Chiesa sulla fede degli apostoli, fa’ che le nostre comunità, illuminate dalla tua parola e unite nel vincolo del tuo amore, diventino segno di salvezza e di speranza per coloro che dalle tenebre anelano alla luce.
Papa Francesco ha invitato tutti a prepararsi per l’incontro modiale delle famiglie. Per questo motivo, nella diocesi di Treviso sta transitando un’icona creata appositamente. Mercoledì 11 e giovedì 11 giugno 2022 l’icona della Famiglia sarà ospitata dalla nostra parrocchia. Tutti i dettagli dell’iniziativa, organizzata a livello di Collaborazione Pastorale Villorbese, si trovano qui.
Ciao a tutti! L’estate è alle porte e finalmente con lei anche il Gr.Est di Fontane 2022!!☀️🌊 Il nostro tema quest’anno è l’antica Grecia e non vediamo l’ora di farvi conoscere tutti i personaggi e i luoghi mitici😍
La nostra proposta per il 2022 è
dal lunedì al venerdì pomeriggio (15/18:30)
da lunedì 13 giugno a venerdì 1 luglio.
Nel corso delle settimane faremo alcune gite
Centro Nuoto Le Bandie
piscine di Conca Verde
al mare.
I costi per questa esperienza sono:
1 figlio: 20€ a settimana (50€ di tre settimane)
a partire da 2 figli: 15€ a settimana (40€ di tre settimane)
Quest’anno ci siamo modernizzati😉 Ecco il link dove troverete un modulo da compilare e l’IBAN per poter effettuare il pagamento ed iscriversi a quest’avventura:
ISCRIVITI, COSA ASPETTI???
accedi al modulo e facci avere i “soldini” necessari per rendere possibile l’iniziativa
Nel caso in cui preferiate le iscrizioni cartacee, ci trovate fuori dalla chiesa a Fontane domenica 15 maggio (dalle 10 alle 12:30) e sabato 28 maggio (dalle 15 alle 16:30).
Per ulteriori informazioni: Elena: 380 2119854 Martina: 392 4831030
Vi aspettiamo numerosi!❤️ -I vostri cari animatori💃🏻🕺🏻
P.s.: Non dimenticate a casa cappellino, acqua, merenda, crema solare e tantissima voglia di divertirvi!🥰
«In quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte.
Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo.
Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l’estate è vicina. Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, è alle porte.
In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno.
Quanto però a quel giorno o a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre».
È il discorso di addio di Gesù che si congeda dalla sua piccola comunità, da quelli che ha chiamato ad essere suoi testimoni nel mondo. Il brano risente della situazione di vita che stavano vivendo questi testimoni durante la persecuzione di Nerone e la guerra giudaica. Allora diversi credenti, che vivevano la diaspora, hanno pensato che questi avvenimenti fossero chiari segni della fine del mondo.
Il brano annuncia che la distruzione di Gerusalemme non è la fine del mondo. Annuncia la perfetta realizzazione del Regno e l’entrata trionfale e definitiva di Dio nella vita degli uomini. Per noi che viviamo di solo presente, il vangelo oggi apre una porta nella parete del tempo, perché possiamo guardare oltre, non per annunciarci la data di un futuro,ma per insegnarci a vivere giorni aperti al futuro. Il Vangelo non ci parla della fine del mondo, ma del senso della storia.
Protagonista dell’evento è solo Dio che porta a compimento la storia della salvezza, mediante il Figlio suo Gesù, ormai Figlio dell’uomo glorificato, che manda i suoi angeli a radunare gli “eletti”. Dio entra così in modo definitivo nella storia. Il Figlio dell’uomo unisce in sé potenza e sofferenza. E’ attraverso la sofferenza e morte che realizza la salvezza, trasformando l’attesa in “apocalisse”. E’ il Cristo pasquale che, “assiso alla destra di Dio”, viene verso gli uomini per l’ultimo atto di un’opera inaugurata da Lui durante la sua vita terrena. Questa è una certezza assoluta. I discepoli sono così rassicurati, perché, dopo le prove, il Figlio dell’uomo li radunerà per costruire, sotto la sua guida, la comunità degli eletti. Nasce il nuovo mondo di Dio che condivide il regno e il potere. Il Cristo che viene non ha l’aspetto minaccioso o del giudizio, ma solo parole di incoraggiamento ai credenti che sono nella prova, invitati a vivere nella speranza, con la certezza che la loro salvezza è assicurata da questa venuta gloriosa di Cristo. Ci sono degli angeli inviati a loro per radunarli.
Questa certezza del futuro ha la forza di illuminare anche il senso della nostra vita? Molto spesso l’esperienza quotidiana sembra dirci che il male vince e il bene perde: ma è così? Ognuno di noi ha detto almeno una volta: per me è finita! A volte nella nostra vita si spegne il sole, lasciandoci poveri, senza sogni: una disgrazia, una delusione, la morte di una persona cara, una sconfitta nell’amore… Per valutare le cose in profondità e non lasciarci ingannare dalle situazioni della vita è necessario che usciamo dai tempi brevi e spingiamo lo sguardo lontano, oltre le nubi, al ritorno del Figlio dell’uomo in potenza e gloria.
Il vangelo ci illumina sul significato del nostro vivere oggi: c’è un mondo che muore ogni giorno e c’è un mondo che nasce ogni giorno. Il mondo è caratterizzato dalla fragilità: la nostra vita è fragile, così le istituzioni, la società, l’economia, la famiglia… Dentro questa fragilità drammatica della storia noi siamo chiamati a cogliere il passaggio dall’inverno alla primavera e all’estate.
“Dalla pianta di fico imparate”. La gemma di un albero diventa personaggio di una rivelazione. Siamo chiamati a non fermarci all’inverno. Continuamente dobbiamo guardare oltre l’inverno, a credere nell’estate che inizia col quasi niente: una gemma su un ramo, la prima fogliolina di fico. La pianta di fico, che germoglia prima della vite, dà con certezza il segnale della primavera e che l’estate rapidamente si avvicina. Dentro questa speranza che è certezza, c’è tutto il lavoro del contadino. Anche noi, se faremo questo, usciremo dalla notte alla luce. La forza è la presenza di un Dio vicino, dentro le nostre fragilità.
Tutto questo si realizzerà quanto più sapremo accogliere le raccomandazioni di Gesù: “non allarmatevi, non preoccupatevi, pregate… non credete… state attenti… sappiate che Egli è vicino…”. Atteggiamenti difficili da vivere, possibili unicamente se sostenuti da una grande fede.
Accogliamo quest’ultima assicurazione che Gesù ci consegna, che, se accolta, ci rende capaci di serenità e fedeltà, in quanto l’avvenire della storia è saldamente in mano di Colui che fu crocifisso. Conserviamo in fondo agli occhi il riverbero della speranza: appassioniamoci per la pace, per un mondo più giusto, più buono. Il cielo dell’umanità non sarà così mai vuoto e nero. Noi dobbiamo essere (“i giusti”) come stelle che si accendono su tutta la terra, illuminando i passi di molte persone. Uomini e donne assetati di giustizia, di pace, di bellezza. Tutti insieme, foglioline di primavera, del futuro buono che viene.
In quel tempo, Gesù [nel tempio] diceva alla folla nel suo insegnamento: «Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere. Essi riceveranno una condanna più severa».
Seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo.
Allora, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: «In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere»
C’è un luogo nel tempio dove tutti passano. Gesù siede lì davanti ai dodici piccoli forzieri per le offerte, dove c’era il sacerdote che controllava la validità delle monete e dichiarava a voce alta, per la folla, l’importo dell’offerta, suscitando l’ammirazione dei presenti. Gesù sembra solo, seduto davanti alla sala del tesoro, ed osserva come la gente vi getta il denaro.
Il brano è costruito come una contrapposizione tra gli scribi, i teologi ufficiali, potenti e temuti, e una donna senza nome, vedova e povera, senza difese e senza parole, e la fa maestra di vita e di fede.
La descrizione dello scriba ha lo scopo di denunciare alcune strutture che possono rovinare qualsiasi uomo religioso in ogni epoca, in particolare l’atteggiamento vanitoso. In forza della posizione che occupavano, gli scribi pretendevano deferenza e venerazione. La cosa più grave era che avevano introdotto nella loro vita la menzogna: quella di separare il culto di Dio dalla giustizia: pregano Dio e danneggiano i poveri. La menzogna di illudersi di amare Dio e il prossimo, e invece non amavano che se stessi. Gli insegnamenti, le pratiche religiose che compivano, tutto doveva servire a metterli in luce, tutto a loro vantaggio.
Sono personaggi che hanno lo spettacolo nel sangue: passeggiano in lunghe vesti, amano i primi posti, essere riveriti per strada… E’ la riduzione della vita a spettacolo che conosciamo anche noi. Gli scribi sono identificati per tre comportamenti: come appaiono, la ricerca dei primi posti nella vita sociale, l’avidità con cui acquistano i beni: divorano le case delle vedove, insaziabili e spietati. Tre azioni rivelano i sintomi di una malattia devastante: apparire, salire e comandare, avere.
Gesù invita le persone a non fidarsi di questi maestri, per il loro comportamento, per il loro modo di vivere. Alla base della loro vita non c’è l’amore. La società che essi vogliono è sullo stile dei regni di questo mondo, una società classista, in cui domina l’ingiustizia.
Gesù contrappone i tre verbi alternativi del vangelo: essere, discendere, servire e donare. Ecco allora la povera vedova che offre poche monete, tutto quanto possiede. Nessun mormorio di ammirazione. Ma Gesù la scorge e richiama l’attenzione dei discepoli con parole importanti: “In verità, io vi dico…” Gesù vuole far riflettere i suoi discepoli per educarli ad una vera sequela anche sul modo di giudicare la gente. Gesù giudica il valore del dono a partire dalla situazione del donatore. A Gesù non interessa il dono, ma chi lo dà: è la persona che dà valore al dono.
Gesù ha finalmente trovato ciò che cercava: un gesto autentico. Autenticità garantita da tre qualità: la totalità, la fede e l’assenza di ogni ostentazione. Quella povera vedova non ha dato qualcosa di superfluo, ma tutto ciò che aveva. Donare del superfluo non è ancora amore. E neppure fede. Donare a tal punto da mettere allo sbaraglio la propria vita, questa è fede. Quel giorno, la donna ha voluto che il suo poco fosse dono per gli altri, per Dio. Si è disfatta anche di ciò che poteva creare una piccola sicurezza umana per il domani. Si è affidata totalmente a Dio per condividere il suo bene con gli altri. Essa ha veramente dentro di sé l’amore di Dio e del prossimo. Questa vedova è l’immagine del vero credente, del vero discepolo di Cristo.
Nel Vangelo di norma i poveri chiedono e supplicano. Qui una povera vedova non chiede nulla per sé, ma dona tutto, anche gli ultimi spiccioli di vita.
Gesù capovolge il modo di pensare del mondo: “più denaro è bene, meno denaro è male”. Le bilance di Dio non sono però quantitative, ma qualitative, quelle del cuore. Quelli che sorreggono il mondo sono gli uomini e le donne di cui i giornali non si occuperanno mai, quelli dalla vita nascosta, fatta solo di fedeltà, di generosità, di onestà, di giornate a volte cariche di immensa fatica.
I primi posti di Dio appartengono a quelli che regalano vita quotidianamente, con mille gesti non visti da nessuno: gesti di cura, di attenzione, rivolti ai genitori, ai figli, a chi busserà domani…
L’uomo, per star bene, deve dare. E’ la legge della vita. Dare come un povero, non come un ricco, ha in sé qualcosa di divino. Si può amare senza misura, amare per primi, amare in perdita, amare senza contraccambio.
In quel tempo, si avvicinò a Gesù uno degli scribi e gli domandò: «Qual è il primo di tutti i comandamenti?».
Gesù rispose: «Il primo è: “Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza”. Il secondo è questo: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Non c’è altro comandamento più grande di questi».
Lo scriba gli disse: «Hai detto bene, Maestro, e secondo verità, che Egli è unico e non vi è altri all’infuori di lui; amarlo con tutto il cuore, con tutta l’intelligenza e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici».
Vedendo che egli aveva risposto saggiamente, Gesù gli disse: «Non sei lontano dal regno di Dio». E nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo.
Siamo nell’ultima settimana della vita di Gesù. Settimana di rifiuto e di odio, di passione e morte. Fissiamo lo sguardo su Gesù in attento ascolto. Dopo tre controversie con i suoi avversari, ci viene presentato il dialogo tra Gesù e uno scriba: un dialogo tra due amici, che crea sintonia, stima, amicizia su un tema allora assai discusso: qual è nella Legge il più grande, primo comandamento? Lo sapevano tutti in Israele: era il terzo, quello che prescrive di santificare il sabato, perché anche Dio lo aveva osservato (Genesi 2,2). Meraviglia il perfetto accordo e l’assicurazione data allo scriba di essere alla soglia del regno di Dio. Lo scriba infatti riconosce in Gesù un maestro dall’insegnamento sicuro. E poi, la Legge vissuta dal popolo ebreo coincide con la vita dei cristiani proposta da Gesù.
Gesù risponde citando un passo del Deuteronomio: “Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua forza”; e un passo del Levitico: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”.
“Ascolta Israele...” è la preghiera che ogni israelita era tenuto a fare al mattino e alla sera, che esprimeva la fede nel Dio unico di Israele, quello delle promesse e dell’Alleanza: deve essere amato compiendo l’obbedienza ai suoi comandamenti. L’amore non è sinonimo di obbedienza, ma è il “principio animatore” dell’esistenza.
La risposta di Gesù spiazza tutti e va oltre: non aggiunge nulla di nuovo rispetto alla legge antica, eppure il suo comandamento è nuovo: tu amerai. Gesù invita a non smarrirsi nel labirinto dei precetti: la volontà di Dio è semplice e chiara: amare Dio e gli uomini. Ciò che dona felicità all’uomo non è l’obbedienza alle regole, ma, semplicemente, l’amare. Il primo comandamento non è uno solo, ma due, però strettamente congiunti, come due facce della stessa realtà. E’ nella capacità di mantenere uniti i due amori – l’amore di Dio e l’amore del prossimo – la misura vera della fede e della genialità cristiana. Le due parole fanno insieme una sola parola, l’unico comandamento.
L’averli separati è l’origine dei nostri mali. In questi ultimi anni della nostra storia ci sono state persone che, per amare Dio, si sono estraniate dagli uomini. Hanno pensato di amare Dio, trascurando di amare il prossimo, non reagendo di fronte alle ingiustizie e non lottando contro le oppressioni: ma a quale Dio si sono riferite? Non certo al Dio di Gesù Cristo.
Altre persone, per lottare a fianco degli uomini, hanno dimenticato Dio. Si sono fermate ad amare il prossimo, ma contemporaneamente, rifiutando di amare l’unico Signore, sono cadute facilmente in potere degli idoli. Mentre pensavano di amare il prossimo, facilmente lo strumentalizzavano, imponendogli le proprie idee, la propria visione del mondo, la propria giustizia. Soprattutto, mentre si voleva aiutare l’uomo ad essere più uomo, lo si è allontanato dal suo bisogno più profondo: dalla sua ricerca di Dio. La dedizione al prossimo non esaurisce la sete di amore dell’uomo. E’ l’apertura a Dio che conduce a compimento l’apertura al prossimo. E’ Dio il punto a cui tende tutto il nostro essere.
Amerai: un verbo al futuro, come per un viaggio mai finito… Il percorso della fede inizia con un “sei amato” e si conclude con un “amerai”. In mezzo germoglia la nostra risposta al corteggiamento di Dio.
Ma come amare? “Con tutto”, ripetuto 4 volte: cuore, mente, anima, forza. L’unica misura dell’amore è amare senza misura. Per raccontare l’amore verso il prossimo, Gesù regala la parabola del samaritano buono. Per indicare come amare Dio, sceglie una donna; Maria di Betania “che, seduta ai piedi di Gesù, ascolta la sua parola (Lc 10,38). Non lascerà cadere neppure una delle sue parole. Amare Dio è ascoltarlo da innamorati. Ama, e fa risplendere l’immagine di Lui che è dentro di te. Perché l’amore trasforma, ognuno diventa ciò che ama. Se ameremo Dio, saremo simili a Lui, cioè creatori di vita, perché Dio, continuamente, non fa altro che questo.
In quel tempo, mentre Gesù partiva da Gèrico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timèo, Bartimèo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!».
Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!».
Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». Chiamarono il cieco, dicendogli: «Coraggio! Àlzati, ti chiama!». Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù.
Allora Gesù gli disse: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». E il cieco gli rispose: «Rabbunì, che io veda di nuovo!». E Gesù gli disse: «Va’, la tua fede ti ha salvato». E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada.
La guarigione di Bartimeo è l’ultimo miracolo del vangelo di Marco. Il primo fu la liberazione di un indemoniato nella sinagoga di Cafarnao (1,22-26), ora la guarigione di un cieco all’uscita dalla città di Gerico. I due miracoli illustrano la vittoria di Cristo sulle forze ostili che l’uomo incontra nella sua vita: la presenza del Maligno e la cecità dell’uomo.
Il racconto è scarno e vivo, pieno di movimento, di grida, di strade e di luce. Il ritratto del mendicante ci è tracciato con tre drammatiche pennellate: cieco, solo, mendicante: un’esistenza inutile! Icona di ogni persona. E’ seduto sul ciglio della strada di Gerico, come chi si è fermato e si è arreso di fronte ai problemi della vita. Qualcuno lo metteva al mattino vicino alla strada, con il lembo del mantello steso a terra per ricevere qualcosa. Quel giorno c’era molta gente che passava, ma probabilmente nessuno pensava a lui.
I discepoli sembrano scomparsi; protagonisti sono ora Gesù e il cieco. Negli episodi di queste ultime domeniche i discepoli sono stati presentati nella loro perplessità, esitazione, incomprensione di fronte alle richieste di Gesù. Ora Bartimeo “subito” si mise a seguire Gesù lungo la strada. Modello da imitare sembra essere lui, non i discepoli.
Il racconto mette in evidenza che quello che umanamente sembra impossibile, non lo è per Dio, perché “tutto è possibile a Dio”. Il possibile non si misura sulle forze dell’uomo, ma sulla grandezza del dono di Dio. Il racconto ci fa assistere ad una completa, impensabile trasformazione: un uomo era cieco e ora ci vede, era seduto e ora segue Gesù lungo la via. Un uomo impotente è trasformato in un discepolo coraggioso. Due sono le condizioni: la preghiera: “Gesù, abbi pietà di me”, e la fede “Va, la tua fede ti ha salvato”.
Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me. Bartimeo, quando venne a sapere che passava Gesù, il Nazzareno, si preoccupò di farsi notare. Non mancandogli la voce, urlò. La sua voce era piena di fede: invoca Gesù come il Messia promesso, come colui che avrebbe aperto gli occhi ai ciechi. Gli gridò la sua disperata speranza. Gesù si sentì chiamato a compiere la sua missione. Rimase però sulla strada, quella che portava a Gerusalemme per continuare la sua missione.
La folla fa muro e comincia a dire al cieco: Taci, non domandare, non disturbare, rassegnati, tanto non è possibile guarire: accontentati, non c’è altro da vedere; cosa vai cercando?, non vogliamo straccioni nel corteo.
“Chiamatelo”. Gesù lo chiama, ha compassione. E Bartimeo comincia a guarire, prima come uomo e poi come cieco. Gesù può dare la luce, dare occhi profondi che vedono, vedono addirittura il cuore di Dio e il senso della vita.
Ed ecco dalla folla tre parole: coraggio, alzati, ti chiama. Queste parole il Signore vuole che le teniamo presenti anche noi: incoraggiare, dare amore e speranza, frutto della fiducia in Dio, a tutti quelli che gridano dal dolore, soprattutto rimettere in piedi, aiutare a ripartire, non gettare a terra nessuno. Noi saremo come Cristo non se faremo miracoli, ma se sapremo far sorgere nel mondo il tempo della divina compassione.
E subito. Tutto sembra eccessivo, esagerato: il cieco non parla, grida; non si toglie il mantello, lo getta; non si alza in piedi, ma balza in piedi. La fede è questo: un eccesso, un di più illogico e bello, qualcosa che moltiplica la vita. Il cieco lascia ogni sostegno per avanzare senza vedere, le mani avanti, verso quella voce che lo chiama. Guidato, orientato solo dalla parola di Cristo che vibra nell’aria.
“Che cosa vuoi che io faccia per te?” E’ Dio che parla, servitore della nostra vita. Se un giorno sentissimo, con un brivido, queste stesse parole rivolte a noi, che cosa chiederemmo al Signore, che cosa portiamo nel cuore?
“Che io veda di nuovo”! E che cosa mai vuoi vedere? Bartimeo vede l’uomo Gesù, vede la sua via, il suo vangelo. Inizia a vivere, perché chiamato con amore. Anche noi ci orientiamo nella vita, come Bartimeo, senza all’inizio vedere, solo guidati dall’eco della Parola di Dio. Abbiamo lasciato i nostri angoli bui, la vita seduta, le vecchie strade.
Ricordiamo: Il peggio che ci possa accadere è di innamorarci della nostra cecità, o del nostro mendicare, seduti ai bordi della vita. Accanto ai nostri naufragi passa però sempre Gesù che ci chiama. Ascoltiamo la sua voce che ci indica la vita negli eventi della storia, nel gemito e nel giubilo del creato. Lui continua a seminare occhi nuovi e luce nuova sulla terra! La preghiera del cieco diventi la nostra preghiera in modo che, vedendoci chiaro, anche noi con amore percorriamo la strada che porta a “Gerusalemme”: l’unica via sicura è quella della “Croce”.
In quel tempo, si avvicinarono a Gesù Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedèo, dicendogli: «Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo». Egli disse loro: «Che cosa volete che io faccia per voi?». Gli risposero: «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra».
Gesù disse loro: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?». Gli risposero: «Lo possiamo». E Gesù disse loro: «Il calice che io bevo, anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato».
Gli altri dieci, avendo sentito, cominciarono a indignarsi con Giacomo e Giovanni. Allora Gesù li chiamò a sé e disse loro: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».
Dopo il terzo annuncio della passione, gli apostoli stanno seguendo Gesù, in cammino verso Gerusalemme, non senza paura. In questa discussione Giacomo e Giovanni non rifiutano la passione. Come Gesù guardano, nella speranza, alla gloria che seguirà. E’ sul dopo che vogliono discutere, sul quando il Figlio dell’uomo sarà coronato di gloria, siederà sul trono e avrà potere accanto a Dio. Non chiedono privilegi sulla terra, ma i primi posti in cielo e sedere accanto a Gesù glorioso.
Giovanni, l’apostolo “preferito”, il più vicino a Gesù, chiede per sé e per suo fratello i primi posti, provocando la reazione unanime di gelosia degli altri dieci. E’ come se finora Gesù avesse parlato a vuoto. Dopo tre anni di strade, di malati guariti, dopo tre annunci della morte in croce, è come se ancora non avessero capito niente.
“Non sapete quello che chiedete” La ricerca del primo posto è una passione così forte che penetra e avvolge il cuore di tutti. La volontà di grandezza è innata nell’uomo, ma domanda un’inversione. Ma cosa scatena questa fame di potere? E’ il pensare l’autorità come potere, non come servizio.
Gesù li interroga subito sull’oggetto della loro richiesta. Hanno parlato sconsideratamente, la loro richiesta è insensata. Non hanno compreso che se vogliono essere associati alla gloria di Cristo, devono prima condividere la sua prova.
Gesù oppone la condotta dei capi di Stato a quella che Egli vuole vedere predominare tra i suoi discepoli. Quello che essi conoscono è il modo di comportarsi dei “capi”: padroni che esercitano un potere dominatore sui popoli sottomessi. Governano spadroneggiando e schiacciando i deboli. L’autorità è importante, ma va esercitata in modo radicalmente diverso: non dominio, ma servizio, e Gesù si presenta come modello obbligatorio da contemplare e da imitare. Gesù invita a fissare lo sguardo su di Lui, che vive il servizio fino a “dare liberamente la propria vita”. Una morte voluta in anticipo. Gesù va spontaneamente alla morte perché si compia la volontà del Padre.
Quando uno si accorge che il proprio modo di comportarsi è come quello dei potenti del mondo, deve preoccuparsi, fermarsi a contemplare Gesù e, con la forza dello Spirito Santo, cambiare modo di vivere.
Con il suo modo di vivere la solidarietà, Gesù prende le radici del potere e le capovolge mettendole al sole e all’aria! Servizio è il nome nuovo dell’amore, il nome nuovo di Dio. Gesù assicura che non è venuto per procurarsi dei servi, ma per essere il servo. DIO, MIO SERVITORE. Non fermiamoci a Dio, padrone e signore dell’universo, al cui trono ci inginocchiamo. Dio non tiene il mondo sotto i suoi piedi, ma è Lui che si inginocchia ai piedi di ognuno dei suoi figli, si cinge un asciugamano e lava i piedi e le ferite. Si inchina davanti a noi, e i nostri piedi sono fra le sue mani.
Pensiamo attentamente a questo autentico volto di Dio nostro servitore, che Gesù ci ha rivelato. Il padrone fa paura, il servo no. Cristo ci libera dalla paura delle paure: quella di Dio. Il padrone giudica e punisce, il servo no. Siamo stati creati per essere amati e serviti da Dio qui e per sempre. Non siamo noi che esistiamo per Dio, ma è Dio che esiste per noi, per amarci, servirci, conoscerci, per lasciarsi stupire da noi: imprevedibili, splendidi, a volte meschini figli che siamo. Il vero volto di Dio lo vediamo in Gesù: Dio è Colui che continuamente viene, viene come nostro servitore, come Colui che si è fatto servo di tutti, donando la vita. La mia vita è il primo lavoro di Dio: Dio non si serve di noi, ma fa sua la nostra causa. Non pretende che siamo già luminosi, ma ci lavora perché lo diventiamo. Non è l’uomo creato per conoscere, amare, e servire Dio, ma è Dio che esiste per amare e servire l’uomo.
Gesù ci invita a fissare lo sguardo su di Lui, a non ragionare e pensare come gli uomini, a essere servi di ogni frammento di vita. Nel mondo, quelli che governano spadroneggiano e schiacciano i deboli. I discepoli devono contestare questo modo di agire degli uomini e costruire un’umanità di fratelli, dove ognuno mette i doni ricevuti a servizio del bene comune, senza ricerca di privilegi. Proviamo ad immaginare un’umanità dove ognuno corre, nel servizio, ai piedi degli altri, un’umanità dove non ci sono padroni, ma tutti sono a servizio di tutti!
Questa è la santità: una passione convertita da “primo” a “servo”. Cosa non facile perché temiamo che il servizio sia nemico della felicità. E’ così duro ogni giorno custodire germogli, vegliare sui primi passi della luce, benedire ciò che nasce! Non resta che lasciarci abitare da Gesù, per irradiare il Vangelo. Se Dio è nostro servitore, servizio è il nome nuovo della storia, il nome segreto della civiltà.