Categoria: Ascolto della Parola

  • LA LIBERTÀ CHE IL GIOVANE RICCO NON HA CAPITO

    LA LIBERTÀ CHE IL GIOVANE RICCO NON HA CAPITO

    Parrocchia di Fontane
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    LA LIBERTÀ CHE IL GIOVANE RICCO NON HA CAPITO
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    Mc. 10,17-30

    In quel tempo, mentre Gesù andava per la strada, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?». Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti: “Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre”».

    Egli allora gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza». Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!». Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni.

    Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: «Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!». I discepoli erano sconcertati dalle sue parole; ma Gesù riprese e disse loro: «Figli, quanto è difficile entrare nel regno di Dio! È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio». Essi, ancora più stupiti, dicevano tra loro: «E chi può essere salvato?». Ma Gesù, guardandoli in faccia, disse: «Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio».

    Pietro allora prese a dirgli: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito». Gesù gli rispose: «In verità io vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa mia e per causa del Vangelo, che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà».

    Gesù, dopo essere stato in casa con i discepoli, è di nuovo in cammino verso Gerusalemme, dove donerà la vita.

    Un uomo ricco gli corre incontro: manifestando un rispetto eccezionale, si getta ai suoi piedi, come se avesse l’urgenza e l’ansia di una risposta. Un uomo senza nome: il suo nome è stato rubato dal denaro che crea uomini a propria immagine e somiglianza, senza nome e senza anima. Pur osservando la Legge, è insoddisfatto e per questo aspetta da Gesù che gli suggerisca qualcosa di più da compiere.

    Il suo correre incontro al Signore è un gesto bello, pieno di slancio e desiderio. Ha dentro di sé grandi domande e grandi attese. Vuole sapere se è vita o no la sua. Alla fine se ne andrà deluso e triste, perché ha un sogno, ma non il coraggio di trasformarlo in realtà. Pur attratto da Gesù, non ha la forza di vincere l’attrazione delle ricchezze.

    Gesù, aperto a tutti gli incontri, è lì che lo attende. Ascolta la sua grande domanda: cosa deve fare per trovare la vita? Colui che parla è un credente: crede nella resurrezione e nella vita futura con Dio, e la vuole raggiungere. Non la considera però come puro dono, come di fatto è ogni eredità, ma la vuole meritare.

    Gesù lo rimanda ai comandamenti, quelli che parlano delle relazioni con il prossimo, che sono la verifica dell’autenticità della relazione con Dio. Un uomo che ha compiuto sempre il proprio dovere dovrebbe sentirsi a posto, invece, no. E’ insoddisfatto, gli manca qualcosa. E’ questa insoddisfazione che lo sta portando a diventare cercatore di “tesori”. Gesù vede avanzare questo cercatore di vita, e lo ama. Lo ama per quell’inquietudine che apre al futuro, che mette in atteggiamento di ricerca.

    La via della vita sta nel seguire Gesù, donando se stessi fino alla morte, vendendo tutto ai poveri. L’uomo si spaventa e si rattrista per questa parola. Il suo volto si oscura: ci vuole troppo coraggio. Non ha capito che la felicità non dipende dal possesso, ma dal dono. Per tutta la vita resterà così: onesto e triste, osservatore e cupo. Quanti di noi sono come il ricco, onesti e infelici! E’ drammatico questo incrocio di sguardi: quello profondo di Gesù sull’uomo ricco e quello cupo e rattristato dell’uomo che se ne va! Un enorme macigno: le troppe ricchezze ostacolano il cammino verso la vita.

    Gesù propone l’amore ai fratelli, lui preferisce la solitudine; Gesù propone un tesoro di persone, lui preferisce le cose. Seguire Gesù è lasciare tutto, ma per avere tutto. Il vangelo chiede la rinuncia, ma solo di ciò che è zavorra. Dio ci ha dato le cose per servircene e gli uomini per amarli. Noi abbiamo amato le cose e ci siamo serviti degli uomini.

    Quello che Gesù propone è un uomo libero e pieno di relazioni. Non è un discorso di sacrifici, ma di lasciare tutto per avere tutto, per moltiplicare per cento quel poco che abbiamo, quel nulla che siamo, e riempire la vita di affetti e di luce. Le regole del Vangelo sul denaro sono due: a) non accumulare, b) quello che hai, condividilo. Non porre la tua sicurezza nell’accumulo, ma nella condivisione.

    Non basta lasciare i beni, occorre darli ai poveri. E’ un distacco per la fraternità, una libertà per essere a disposizione. Anche noi di fronte a questa proposta ci smarriamo: è possibile? Anche per l’uomo ben disposto, i beni accumulati sono praticamente un ostacolo insormontabile, che può essere superato dalla forza di Dio onnipotente, per il quale niente è impossibile.

    Questa salvezza non è però in potere dell’uomo, ma dono gratuito di Dio e non può essere meritata. Si cammina verso la vita, perché sostenuti dalla forza di Dio che è in noi. La ricchezza è forse l’ostacolo che più impedisce il cammino della croce e il mettersi in sintonia con Gesù e la sua parola. Immaginare poi la sequela come una strada di morte, impedisce una risposta positiva alla richiesta di Gesù. 

    2. Dialogo tra Gesù e i discepoli: questo  ricco non fa altro che manifestare la difficoltà per tutti di entrare nel regno di Dio.

    – 3. Dialogo con Pietro e i discepoli: si passa dal gruppo dei discepoli di Gesù durante la sua vita in questo mondo, a tutti quelli che, più tardi, accetteranno le stesse rinunce per annunciare il Vangelo

  • IL SOGNO DI DIO E’ CHE NESSUNO SIA SOLO

    IL SOGNO DI DIO E’ CHE NESSUNO SIA SOLO

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    IL SOGNO DI DIO E’ CHE NESSUNO SIA SOLO
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    Mc. 10, 2-16

    In quel tempo, alcuni farisei si avvicinarono e, per metterlo alla prova, domandavano a Gesù se è lecito a un marito ripudiare la propria moglie. Ma egli rispose loro: «Che cosa vi ha ordinato Mosè?». Dissero: «Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di ripudiarla».

    Gesù disse loro: «Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. Ma dall’inizio della creazione [Dio] li fece maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola. Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto».

    A casa, i discepoli lo interrogavano di nuovo su questo argomento. E disse loro: «Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio verso di lei; e se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio».

    Gli presentavano dei bambini perché li toccasse, ma i discepoli li rimproverarono. Gesù, al vedere questo, s’indignò e disse loro: «Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro infatti appartiene il regno di Dio. In verità io vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso». E, prendendoli tra le braccia, li benediceva, imponendo le mani su di loro.

    Gesù abbandona per sempre la Galilea, va oltre il Giordano, nella regione della Perea che era sotto il dominio di Erode Antipa. Gesù, com’era sua abitudine, sta insegnando alle folle, quando alcuni farisei gli fanno la domanda sul divorzio: “è lecito a un marito ripudiare la propria moglie?” Gesù non si sofferma a mettere in evidenza che quanto Mosè aveva comandato era in difesa della donna. L’atto scritto di separazione serviva alla donna per dimostrare che essa non era infedele al marito, ma una donna libera, perché l’uomo non la voleva più. Gesù conosceva anche che nella legge ebraica non c’era parità di diritti: alla donna, la parte più debole, non era riconosciuta la possibilità di ripudiare il marito.

    Gesù si rende conto che è una domanda trabocchetto e subito vuole portare le persone oltre le strettoie di una vita immaginata come esecuzione di ordini, come obbedienza a norme. Non vuole redigere nuove norme, regolare meglio la vita, ma ispirarla, rinnovarla. Simone Weil diceva: “mettere la legge prima della persona è l’essenza della bestemmia”. E’ non usare il fuoco per adorare la cenere. Il respiro di Dio non può essere ridotto a norma.

    Gesù ci prende per mano e ci accompagna dentro il disegno originario di Dio, a respirare l’aria degli inizi: in principio, prima della durezza del cuore, non fu così. Ci invita a guardare la vita non dal punto di vista degli uomini, ma del Dio della creazione, nel regno dell’Eden, fatto di bellezza e gratuità. C’è un male più antico del peccato, che precede la colpa originale, ed è la solitudine, il primo nemico della vita.

    Il sogno di Dio è che nessuno sia solo, senza sicurezza. Dio è contro la solitudine: Lui stesso è Trinità: amore meraviglioso di tre persone. Il nome di Dio è dal principio: “colui che congiunge”, la sua opera è creare comunione. Dio è amore, e amore è passione di unirsi all’amato. Il nemico invece ha nome Diavolo, Separatore, la cui passione è dividere.

    L’uomo non divida, cioè agisca come Dio, s’impegni totalmente nelle sue relazioni d’amore. Il peccato è trasgredire, contaminare questo sogno di Dio. Se non ricuciamo e ricongiungiamo, se il nostro amore è duro e aggressivo, invece che dolce e umile, noi stiamo ripudiando il sogno di Dio, siamo già adulteri nel cuore. Il peccato è tradire il regno degli inizi, trasgredire il sogno di Dio. Invece di tener vivo l’amore, facciamo emergere l’infedeltà, la mancanza di rispetto, l’offesa alla dignità: l’essere l’uno per l’altro non è più causa di vita, ma di morte quotidiana.

    Il matrimonio che non si divide diventa allora vangelo: lieta notizia che l’amore è possibile, che il sogno di Dio non è svanito all’alba. Ogni uomo e ogni donna che camminano insieme si regalano reciprocamente la gioia con cui Dio benediceva Eva: tu sei per me salvezza al mio fianco. La medesima fedeltà vissuta da Gesù viene vissuta dagli sposi che, così, fanno trasparire, con la loro fedeltà, l’amore di Cristo.

    “Gesù si indignò”: “lasciate che i bambini vengano a me”… L’indignazione di Gesù ci rivela che i bambini sono cosa sacra. Gesù perde tempo con loro. Pur incamminato verso Gerusalemme, Egli non ha cosa più importante da fare. Osservando il loro essere ultimi nella società, quelli che non contano, quelli che hanno bisogno di tutto, il discepolo è chiamato a sentirsi piccolo davanti a Dio e agli uomini, a mettere da parte ogni volontà di dominio sugli altri. Il Regno di Dio è dono gratuito, nessuna opera umana lo può meritare.

    I bambini sanno aprire facilmente la porta del cuore ad ogni incontro, non hanno maschere, sono maestri nell’arte della fiducia e dello stupore. Sanno vivere come i gigli del campo e gli uccelli del cielo, si fidano della vita, credono nell’amore.

    “Prendendoli tra le braccia li benediceva”: perché nei loro occhi il sogno di Dio brilla, non contaminato ancora. 

  • SI PUÒ ESSERE DI CRISTO SENZA APPARTENERE ALLA COMUNITÀ CRISTIANA

    SI PUÒ ESSERE DI CRISTO SENZA APPARTENERE ALLA COMUNITÀ CRISTIANA

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    Mc. 9,38-43.45.47-48.

    In quel tempo, Giovanni disse a Gesù: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva». Ma Gesù disse: «Non glielo impedite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me: chi non è contro di noi è per noi.

    Chiunque infatti vi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio nome perché siete di Cristo, in verità io vi dico, non perderà la sua ricompensa.

    Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, è molto meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare. Se la tua mano ti è motivo di scandalo, tagliala: è meglio per te entrare nella vita con una mano sola, anziché con le due mani andare nella Geènna, nel fuoco inestinguibile. E se il tuo piede ti è motivo di scandalo, taglialo: è meglio per te entrare nella vita con un piede solo, anziché con i due piedi essere gettato nella Geènna. E se il tuo occhio ti è motivo di scandalo, gettalo via: è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, anziché con due occhi essere gettato nella Geènna, dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue».

    Il dialogo tra Gesù e i discepoli è collocato in casa, un colloquio privato, per mettere in maggiore evidenza che queste parole di Gesù sono particolarmente indirizzate alla sua comunità.

    Giovanni è il portavoce della mentalità gretta dei discepoli, per i quali, la cosa più importante è la difesa del gruppo: l’istituzione viene prima delle persone, la loro idea prima dell’uomo. Il malato può aspettare, la felicità può attendere.

    Maestro, quell’uomo bravo che fa miracoli, che caccia i demoni, che libera le persone dal male, che restituisce alla vita, non è dei nostri. Ci oscura, ci toglie il pubblico. Dobbiamo difenderci, dev’essere bloccato e diffidato: l’istituzione prima di tutto!

    Traspare nelle parole di Giovanni, quell’egoismo di gruppo (non infrequente purtroppo), che spesso si maschera di fede, ma che in realtà è una delle sue più profonde smentite. Ci sono discepoli che mal sopportano che lo Spirito soffi dove vuole: ne sono gelosi e si sentono traditi nella loro funzione di testimoni e rappresentanti di Cristo. Vorrebbero che la potenza di Dio passasse solo attraverso le loro mani.

    Gesù sorprende i suoi: Chiunque aiuta il mondo a liberarsi e fiorire, è dei nostri. Semini amore, curi le piaghe del mondo, custodisci il creato? Allora sei dei nostri. Sei amico della vita? Allora sei di Cristo. Si può essere uomini e donne di Cristo, senza essere uomini e donne della chiesa, perché il regno di Dio è più vasto della chiesa, non coincide con nessun gruppo. Gli autentici amici di Dio godono della libertà dello Spirito e riconoscono le sue manifestazioni, dovunque avvengano: riconoscono il bene dovunque venga fatto e ne godono. Quando c’è di mezzo il bene, coloro che appartengono alla comunità, hanno il dovere di non impedirlo, anzi … Il “servizio” diventa l’unico criterio per la vera grandezza: chi serve più di tutti è il primo in senso assoluto. Gesù è l’uomo senza barriere, uomo senza confini, il cui progetto è uno solo: voi siete tutti fratelli.

    A volte ci sentiamo frustrati, il male nel mondo sembra troppo forte. Gesù ci dice: porta il tuo bicchiere d’acqua! Se tutti i miliardi di persone portassero il loro bicchiere d’acqua, quale oceano d’amore si stenderebbe a coprire il mondo!

    “Se qualcuno vi darà da bere nel mio nome… perché appartenete a Cristo…” Gesù vede i suoi discepoli  nel futuro, sparsi nel mondo per l’annuncio del Vangelo, stanchi, assetati. Gesù vede persone che, accogliendo i discepoli, pensano di accogliere Lui. Ogni vero credente vive la presenza di Cristo: “Non sono più io che vivo, è Cristo che vive in me”.

    Il vangelo termina con parole dure: “Se la tua mano, il tuo piede ti è motivo di scandalo, tagliali, gettali via…”. E’ il vangelo delle cicatrici, ma che devono diventare luminose, perché le parole di Gesù non sono l’invito ad un’inutile automutilazione, sono invece un linguaggio figurato, incisivo, per trasmettere la serietà con cui si deve pensare alle cose essenziali. Gesù richiama alla propria responsabilità. Il male è annidato dentro di noi. Scopri il tuo mistero d’ombra (esitazioni, compromessi, facili scuse, interessi che imprigionano), e invertilo. Solo per le anime deboli, la colpa è sempre altrove! Spesso l’uomo è scandalo a se stesso. Di fronte a questo scandalo il discepolo è invitato ad un taglio.

       Deve aver cura di non sbagliare la vita, sognare un mondo dove soprattutto le sue mani sanno solo donare e i piedi andare incontro al fratello: un mondo dove fioriscono occhi più luminosi del giorno, dove tutti sono dei nostri, tutti amici della vita, e, proprio per questo, tutti secondo il cuore di Dio. La soluzione non è dunque una mano tagliata, ma una mano convertita, che sa offrire a chiunque il suo bicchiere d’acqua.

  • VUOI ESSERE GRANDE? DIVENTA SERVO DI TUTTI

    VUOI ESSERE GRANDE? DIVENTA SERVO DI TUTTI

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    Mc 9,30-37

    In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà». Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo.

    Giunsero a Cafàrnao. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande. Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti».

    E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato»

    Il cammino di Gesù porta  verso il compimento del suo destino, della sua missione. Gesù, ora, è tutto assorto nell’educazione dei suoi discepoli, dei suoi amici migliori. Gesù rivela il suo destino: annuncia esplicitamente per la seconda volta la sua Passione. L‘evangelista Marco ce lo presenta come uno dei momenti di crisi tra Gesù e i suoi discepoli. 

    Mentre loro stanno discutendo chi fosse il più bravo, il migliore, Lui rivela il cammino della Croce con le sue conseguenze per il discepolo, chiamato anche lui a farsi servo e ad accogliere i piccoli nel suo nome. 

    I discepoli non ascoltano neppure, si disinteressano della tragedia che incombe sul loro maestro e amico. Sono tutti presi soltanto dalla competizione sulla loro grandezza: sembrano piccoli uomini in carriera! A questa voglia di potere della sua comunità, Gesù suggerisce due modi concreti di seguirlo, due esempi nuovi di imitazione di Lui crocifisso.

    Anche oggi in ognuno di noi: in famiglia, nel gruppo, in parrocchia, sul posto di lavoro, tra ricchi e tra poveri alle porte della chiesa, tra i potenti e gli schiavi, questo protagonismo è il principio che distrugge la vita della comunità. Gesù invita anche noi a imitarlo, contemplandolo Crocifisso: “Se uno vuole essere il primo, si consideri l’ultimo di tutti e si faccia il servo di tutti”. Con Gesù che ha percorso la via della Croce, tutti i criteri della priorità sono capovolti: la dignità di una persona non sta nel posto che occupa, nel lavoro che svolge, nelle cose che possiede, nel successo che ottiene: la grandezza si misura unicamente sullo spirito di servizio. 

    Servire: verbo dolce e pauroso insieme, perché pensiamo che la gioia sia prendere, accumulare, comandare, non certo essere servi! I discepoli non capiscono che la passione è un servizio, un donare la vita per gli altri. E’ il capovolgimento dei valori. Il discepolo non può mai essere orientato su se stesso, ma verso il bene dell’altro. Il “servizio” diventa l’unico criterio per la vera grandezza. L’autorità, secondo il vangelo, discende solo dal servizio.

    Inoltre i discepoli non capiscono il “dopo tre giorni risorgerò”: l’agire di Dio non finisce mai nella morte, ma termina sempre nella vita. Nella spaccatura di questa distanza subentra l’angoscia che rende muti. Solo la Pasqua renderà i discepoli disponibili. E noi siamo disponibili? Ci lasciamo coinvolgere ed educare?

    Prese un bambino. Attraverso l’abbraccio e un bambino, Gesù continua ancora ad educare. Tutto il vangelo è un abbraccio: è il racconto della tenerezza di Dio, che mette al centro i piccoli, quelli che non ce la possono fare da soli. Chi accoglie un bambino, accoglie Gesù. Il bambino è immagine di Gesù. Il Re dei re. Il Creatore, l’Eterno, come un bambino!.

    Accoglienza: il nome nuovo della civiltà. Accogliere o respingere i disperati, i piccoli, che siano alle frontiere o alla porta di casa nostra, è considerato accogliere o respingere Dio stesso.

    I bambini non sono più buoni degli adulti. Sono egocentrici, impulsivi e istintivi, a volte persino spietati, ma sono maestri nell’arte della fiducia e dello stupore. Sanno vivere come i “gigli del campo e gli uccelli del cielo”, pronti al sorriso, quando non hanno smesso di asciugarsi le lacrime, perché si fidano totalmente del padre e della madre. Il bambino non basta a se stesso e vive solo se è amato: riceve tutto e può dare poco, forte non della propria forza, ma di quella con cui lo sollevano le braccia del padre. La sua debolezza è la sua forza. Diventare bambini è ritrovare lo stupore di essere figli: figli piccolini, la cui forza è Dio Padre. Viviamo da bambini, immagine di Dio, quando anche noi ci facciamo prendere in braccio da Dio. Il modello di questa vita di fede è Maria che ha accolto Dio nel bambino Gesù. Così noi, quando accogliamo un bambino, un disperato, stringiamo nelle braccia il Signore. Accogliamo gli altri, come Dio accoglie noi, portando la vera gioia nella loro esistenza. La Chiesa o è accogliente, o non è Chiesa

  • CHI SONO IO PER TE? GESÙ NON CERCA PAROLE, MA PERSONE

    CHI SONO IO PER TE? GESÙ NON CERCA PAROLE, MA PERSONE

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    Mc 8,27-35.

    In quel tempo, Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo, e per la strada interrogava i suoi discepoli dicendo: «La gente, chi dice che io sia?». Ed essi gli risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elìa e altri uno dei profeti».

    Ed egli domandava loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro gli rispose: «Tu sei il Cristo». E ordinò loro severamente di non parlare di lui ad alcuno.

    E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto, ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere.

    Faceva questo discorso apertamente. Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo. Ma egli, voltatosi e guardando i suoi discepoli, rimproverò Pietro e disse: «Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini».

    Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà».   

    Gesù si trovava in un luogo solitario a pregare insieme con i discepoli. Un momento di intimità tra loro e con Dio. Sono le ore speciali della vita in cui l’amore si fa come tangibile. In questo momento importante Gesù pone una domanda decisiva da cui dipenderà tutta la vita. Attraverso le domande Gesù vuol far crescere i suoi amici. Vuole che non si accontentino di una fede “per sentito dire”, per tradizione.

    “Ma voi”, quasi in opposizione a ciò che dice la gente. Voi che avete abbandonato le barche, che avete camminato con me per tre anni, chi sono io per voi? Cosa vi è successo quando mi avete incontrato? Gesù non cerca parole, ma persone. Gesù non ha bisogno dell’opinione di Pietro per avere informazioni, per sapere se è più bravo dei profeti di prima, ma per sapere se Pietro è innamorato, se gli ha aperto il cuore. Cristo è vivo, solo se è vivo dentro di noi. Cristo non è ciò che dico di Lui, ma ciò che vivo di Lui. Ognuno è chiamato a dare la sua risposta.

    Questo brano evangelico è al centro di tutto il Vangelo di Marco: conclude la prima parte e apre la seconda. La risposta di Pietro è precisa e riconosce con chiarezza che Gesù è il Cristo, il Messia atteso che libera dal peccato, dal male. C’è però un passo ulteriore da fare: c’è sempre il pericolo di pensarlo Messia, secondo il pensiero degli uomini. Vediamo come Pietro, mentre nella prima parte assolve il compito positivo, come portaparola dei discepoli, esprimendo, a nome del gruppo, la sua fede in Gesù, subito dopo assume un ruolo negativo: tenta di allontanare Gesù dalla via della Croce. E’ pronto a riconoscerlo Messia, ma non ne condivide la direzione, la modalità concreta di realizzarla. Sta qui lo spartiacque tra fede e non fede, tra mentalità cristiana e mentalità mondana.

    Gesù smaschera questa sottile tentazione di Satana che vuole separare il Messia dal Crocifisso. Poi si rivolge alla folla e con molta chiarezza, propone loro il suo stesso cammino. Non ci sono due vie, una per Gesù e una per la Chiesa, ma una sola: “Chi vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso e prenda la sua croce”.

    Di fronte a Cristo che insegna che il Messia deve soffrire molto e risorgere, Pietro si ribella, come anche noi ci ribelliamo. Ci seduce, Gesù guaritore, camminatore, accogliente, amico di tutti, ma la Croce! La croce è l’impensabile di Dio. Pensiamolo durante l’ultima cena: Gesù, il mio “lavapiedi” in ginocchio davanti a me. Le sue mani sui miei piedi: un messia non può fare così. E Gesù insiste: io sono come lo schiavo che ti aspetta, e al tuo ritorno ti lava i piedi. Ha ragione Paolo quando dice che il cristianesimo è scandalo e follia. Gesù non spezza nessuno, spezza se stesso; non versa il sangue di nessuno, versa il proprio sangue. Tutto però porta all’appuntamento di Pasqua, quando ci cattura tutti dentro il suo risorgere, trascinandoci in alto.

    Il giusto, con la sua maniera di vivere, dà fastidio, deve quindi essere eliminato. Il volere di Dio però non è morte, ma vita. Gesù vive la speranza di chi confida nel Signore: ed è questa speranza che vuole comunicare a Pietro. Lo rimprovera e lo invita a prendere il posto di discepolo, a seguire la strada tracciata dal Maestro. Come con Pietro, così con noi, Gesù ci mette di fronte ad una libera scelta.

    Ordinò loro di non dirlo a nessuno. Gesù invita a non dire che è il Messia. Prima di poterlo annunziare, bisogna percorrere l’intero cammino di sequela. Gli apostoli non hanno visto la cosa decisiva: il Figlio dell’uomo che soffre molto, viene ucciso e dopo tre giorni risorge. L’appuntamento è l’uomo in Croce.

  • DIO CI GUARISCE PERCHÉ’ CI APRIAMO A LUI E AGLI ALTRI

    DIO CI GUARISCE PERCHÉ’ CI APRIAMO A LUI E AGLI ALTRI

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    Mc 7,31-37

    In quel tempo, Gesù, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidòne, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli.

    Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!». E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente.

    E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!».    

    Il viaggio di Gesù in terra pagana ci è presentato dall’evangelista Marco in maniera molto significativa: Gesù, con una lunga deviazione, sceglie un itinerario che congiunge città e territori estranei alla tradizione religiosa d’Israele (Galilea – Tiro – Sidone – Decapoli…), alla ricerca di quella parte comune ad ogni uomo che viene prima di ogni divisione politica, culturale, religiosa, razziale. Gesù è davvero l’uomo senza confini e invita a considerare patria ogni terra straniera.

    Gli portarono un sordomuto. Un uomo imprigionato nel silenzio, una vita chiusa, ma “portato” da una piccola comunità di persone che gli vogliono bene, a quel maestro straniero, Gesù, ma per il quale ogni terra straniera è patria.

    E pregarono di imporgli la mano. Gesù però fa molto di più di ciò che gli è chiesto. Gesù si rivela come il Messia atteso che realizza le parole dei profeti: “griderà di gioia la lingua del muto…”. Gesù lo prende in disparte, lontano dalla folla, perché ora conta solo quell’uomo colpito dalla vita. E’ la prima azione: Gesù e l’uomo soli: occhi negli occhi che iniziano a comunicare tra loro. Gesù prende quel volto tra le sue mani: l’uomo non è più un emarginato anonimo, ma ora è il preferito, e il maestro è tutto per lui. Iniziano a comunicare così: senza parole, ma con gesti molto corporei e delicati. Con la saliva toccò la la sua lingua: ti do qualcosa di mio, di vitale, insieme al respiro e alla parola, simboli dello Spirito.  

    Gesù pone le dita negli orecchi del sordo, entra in un rapporto corporeo, come un medico capace e umano, si rivolge alle parti deboli, tocca quelle sofferenti.

    Gesù è teso verso il cielo, emettendo un sospiro: è il respiro di speranza calmo e umile, il sospiro del prigioniero che attende la libertà. I gesti di Gesù vogliono produrre quella salvezza che è dono del cielo, dono di Dio.  

    Dice: “Effatà”: apriti!, in aramaico, nel dialetto di casa, nella lingua del cuore, quasi soffiando l’alito della creazione. Apriti agli altri e a Dio: Le tue ferite di prima diventino feritoie attraverso le quali entra ed esce la vita. Prima gli orecchi, perché sa parlare solo chi sa ascoltare. Gesù guarisce per creare uomini liberi. Effatà: esci dalla tua solitudine, dove ti pare di essere al sicuro, e che invece non solo è pericolosa, ma anche mortale.

    Il racconto della guarigione del sordomuto non è semplice racconto di un miracolo, bensì un segno che contiene quello che Gesù vorrebbe operare in ogni suo discepolo che ha un nodo in cuore, un nodo in gola: una umanità infantile e immatura che non sa ascoltare e non sa dialogare. 

    “Sordo” infatti ha la stessa radice di “assurdo”. Entra nell’assurdo chi non sa ascoltare Dio e gli altri e lascia andare a vuoto tutte le loro parole.

    Vivere è percorrere la stessa avventura del sordomuto: dal silenzio alla parola. Ognuno di noi è una persona che non sa parlare, non sa ascoltare. Pensiamo alle sordità presenti in noi che ascoltiamo senza partecipazione. Pensiamo alla nostra lingua annodata, all’insignificanza dei nostri messaggi e delle nostre parole! Non sappiamo ascoltare chi è appena fuori del nostro spazio vitale: dall’ambito della famiglia o dalle amicizie. Spesso ascoltiamo distrattamente, “a mezzo orecchio”, sperando solo che l’altro finisca in fretta, perché abbiamo cose più intelligenti da dire, osservazioni più acute, idee più importanti. “Chi non sa ascoltare il proprio fratello, presto non saprà neppure ascoltare Dio, sarà sempre lui a parlare, anche con il Signore” (Bonhoffer).

    In quante famiglie si parla tra sordi. Chi non sa ascoltare perderà la parola, perché parlerà senza toccare il cuore dell’altro. Guariremo tutti dalla povertà della parola solo quando ci sarà donato un cuore che ascolta. E’ ciò che ha fatto e continua a fare Gesù. E’ ciò che, nella comunità, Gesù continua a fare con noi dal giorno del nostro battesimo: ci tocca in ogni gioia e prova, ci tocca in ogni fratello che ci viene incontro. Ci restituisce il dono di ascoltare e parlare: la capacità di comunicare, la forza di bruciare le ipocrisie, perché viviamo il gusto dell’amicizia. 

    Continuamente ci dice: “Effatà”: esci dal tuo nodo di silenzi e di paure, accogli la vita, apri le tue porte a Cristo. Accogliamo questo gesto di salvezza che il Signore vuole realizzare anche con noi.  

      

  • IL CUORE DI PIETRA, LA MALATTIA MENO DIAGNOSTICATA

    IL CUORE DI PIETRA, LA MALATTIA MENO DIAGNOSTICATA

    Parrocchia di Fontane
    Parrocchia di Fontane
    IL CUORE DI PIETRA, LA MALATTIA MENO DIAGNOSTICATA
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    Mc 7,1-8.14-15.21-23.

    In quel tempo, si riunirono attorno a Gesù i farisei e alcuni degli scribi, venuti da Gerusalemme.

    Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani impure, cioè non lavate – i farisei infatti e tutti i Giudei non mangiano se non si sono lavati accuratamente le mani, attenendosi alla tradizione degli antichi e, tornando dal mercato, non mangiano senza aver fatto le abluzioni, e osservano molte altre cose per tradizione, come lavature di bicchieri, di stoviglie, di oggetti di rame e di letti –, quei farisei e scribi lo interrogarono: «Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?».

    Ed egli rispose loro: «Bene ha profetato Isaia di voi, ipocriti, come sta scritto:

    “Questo popolo mi onora con le labbra,
    ma il suo cuore è lontano da me.
    Invano mi rendono culto,
    insegnando dottrine che sono precetti di uomini”.

    Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini».

    Chiamata di nuovo la folla, diceva loro: «Ascoltatemi tutti e comprendete bene! Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro». E diceva [ai suoi discepoli]: «Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo».

    Diversi sono gli interlocutori a cui si rivolge Gesù, dialogando sulle tradizioni del popolo d’Israele e la legge di Dio.

    Dapprima sono i farisei, poi la folla, infine i discepoli. Questo cambiamento di interlocutori vuole significare che le parole di Gesù sono un insegnamento per chiunque, in particolare per la comunità cristiana. Anzi più di un insegnamento, in quanto sottolineano la cecità e la non intelligenza degli stessi discepoli nel guardare il loro modo di vivere. Diventano così un avvertimento anche per noi.

    Gesù stava incontrando le persone là dov’erano e attraversava con loro i territori della malattia e della sofferenza: dove giungeva, in villaggi o città o campagne, gli portavano i malati e lo supplicavano di poter toccare almeno il lembo del suo mantello. E quanti lo toccavano venivano salvati. Gesù stava vivendo questa esperienza, portando negli occhi il dolore dei corpi e delle anime, e insieme l’esultanza incontenibile dei guariti. Ora, farisei e scribi lo provocano su delle piccolezze: mani non lavate, lavature di stoviglie …

    La replica di Gesù è decisa e insieme piena di sofferenza: ipocriti! Il vero credente va da Gesù per ascoltarlo, non fermandosi ad una religiosità di pratiche esteriori. Per Gesù la vera religione inizia con l’analisi del cuore, una religiosità che guarda l’interiorità. Per Gesù, il vero peccato è il rifiuto di partecipare al dolore dell’altro, è l’ipocrisia di un rapporto solo esteriore con Dio. La malattia che Gesù più teme e combatte è il cuore di pietra, il cuore lontano, insensibile alla vita degli altri.

    Ci può essere addirittura un culto che abolisce l’osservanza della legge di Dio (così facevano gli addetti al culto del tempio: sottraevano il necessario da dare ai genitori anziani, bisognosi di aiuto, del necessario per vivere, per accaparrarselo nel loro servizio al tempio). Le molte tradizioni facevano perdere di vista l’essenziale.

    Gesù scardina soprattutto ogni pregiudizio circa il puro e l’impuro, così duro a morire. Afferma innanzitutto che ogni cosa è pura: il cielo, la terra, ogni cibo, il corpo dell’uomo e della donna. Come è scritto: ”Dio vide e tutto era cosa buona”. Gesù attribuisce al cuore, e solo al cuore, la possibilità di rendere pure o impure le cose, di sporcarle o illuminarle. 

    La purificazione che Gesù domanda è quella di non fermarsi a curare l’esterno, dimenticando l’interno. Si corre il rischio di combattere il male dove non c’è per evitare di cercarlo là dove veramente esso si annida, cioè dentro di noi.

    Non è ciò che entra nell’uomo che lo contamina, ma ciò che esce dal cuore. Gesù invita a custodire con cura il cuore perché è la fonte della vita. Il cuore è il luogo delle decisioni, dove avviene la scelta tra il bene il male, tra Dio e noi stessi. Il primo dovere dell’uomo è tenere in ordine il cuore. Il Vangelo diventa così come una boccata d’aria fresca dentro l’afa in tanti discorsi pieni delle solite parole.

    Bisogna però guardare con attenzione il cuore, perché dentro ci troviamo di tutto, anche delle cose delle quali ci vergogniamo. Il Vangelo presenta un elenco impressionante di dodici cose che rendono impura la vita: “prostituzione, furti, omicidi, adulteri, cupidigia, inganno, invidia, calunnia, superbia, stupidità”. Dentro di noi ci sono radici di veleno e frutti di luce, campi seminati di buon grano ed erbe malate, oceani che minacciano la vita o la generano. Qui sta tutta l’arte di coltivare il cuore.

    Fondamentale è guardarci dentro con lo sguardo di Gesù che ha la forza di trasformare (Maria Maddalena, l’adultera, Pietro…) Allora un vento creatore ci rigenera, apre cammini nuovi, perché con Cristo si torna al cuore felice della vita. Altrimenti, vivendo lontani da Dio o addirittura nel suo disprezzo (stoltezza), costruiremo un mondo di divisione e morte.

    Non dimentichiamo che il male è dentro di noi, che abbiamo bisogno di essere guariti dentro per essere liberi, disponibili a Dio. Il silenzio è indispensabile per ascoltare Dio e lasciare che la sua Parola ci trasformi. E’ con il cuore che si decide di vivere secondo Dio: un’esistenza capace di mandare ovunque segnali di vita.

  • GESÙ MAESTRO DI LIBERTÀ’, NON DI IMPOSIZIONI

    GESÙ MAESTRO DI LIBERTÀ’, NON DI IMPOSIZIONI

    Parrocchia di Fontane
    Parrocchia di Fontane
    GESÙ MAESTRO DI LIBERTÀ’, NON DI IMPOSIZIONI
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    Gv 6,60-69

    In quel tempo, molti dei discepoli di Gesù, dopo aver ascoltato, dissero: «Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?».

    Gesù, sapendo dentro di sé che i suoi discepoli mormoravano riguardo a questo, disse loro: «Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dov’era prima? È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che io vi ho detto sono spirito e sono vita. Ma tra voi vi sono alcuni che non credono».

    Gesù infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che lo avrebbe tradito. E diceva: «Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre».

    Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui.

    Disse allora Gesù ai Dodici: «Volete andarvene anche voi?». Gli rispose Simon Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio».

    Giovanni riporta la cronaca di una crisi drammatica che non coinvolge più solo la folla dei Giudei, ma anche la cerchia dei discepoli. Succede a Cafarnao, teatro di tanti miracoli e insegnamenti di Gesù. Molti dei suoi discepoli si tirano indietro e non vanno più con Gesù. Quanto fu difficile, subito dopo la Pasqua, superare lo scandalo della croce e vedere in Gesù rifiutato dal suo popolo il Figlio di Dio. 

    Il motivo dell’abbandono è la Parola di Gesù che si presenta: “Io sono il pane disceso dal cielo”. La comunità è invitata a credere in Lui, Figlio di Dio, inviato dal Padre. Solo chi sta in ascolto del Padre, si lascia istruire da Gesù, il Padre lo fa incontrare con Gesù, il Figlio. Gesù, Pane di vita, sarà pane nella sua totale debolezza, quando si donerà per la vita del mondo. Sarà la sua morte e resurrezione che aprirà agli uomini la via della vita: una comunione con Gesù e il Padre: una vita eterna.  Gesù poi parla dell’assoluta necessità di mangiare la sua carne e di bere il suo sangue per avere la vita divina e risuscitare nell’ultimo giorno. Si presenta come l’unico Salvatore: l’uomo per salvarsi deve totalmente essere alimentato e trasformato da Lui. “Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo. Chi mangia… rimane in me e io in lui”. Attraverso il suo sacrificio e la sua morte, Lui diventerà per tutta l’umanità, sorgente di vita. Mangiare e bere Cristo significa essere in comunione con il suo segreto vitale: l’amore. Cristo possiede il segreto della vita che non muore (“vita eterna”) e vuole trasmetterlo a noi. Lui si è fatto uomo, perché l’uomo si faccia come Dio. Un pezzo di Dio entra in noi, perché diventiamo un pezzo di Dio nel mondo.

       Gesù chiama a capovolgere l’immagine di Dio: è un Dio che si fa piccolo come un pezzo di pane, che ama l’umiltà del pane e il suo silenzio e il suo scomparire. Un Dio capovolto. Gesù si accorge che la sua comunità fa fatica a comprendere il senso del fallimento. Non si accetta che la salvezza sia portata dal figlio del falegname, soprattutto non si accetta la necessità di condividere la sua esistenza in dono. L’uomo fa fatica riconoscere che non può ottenere la vita da se stesso. Soltanto se rinuncia alla pretesa di fare da sé e riconosce la sua povertà, l’uomo si pone nella condizione di aprirsi alle parole di Gesù. Dio vuole che la vita di Gesù, totalmente donata, sia anche totalmente dell’uomo. Bisogna passare dall’ascolto allo spezzare insieme il pane per accogliere totalmente Gesù, “donato fino alla morte”, ma vivo.

    “Chi mangia la mia carne vivrà in eterno”. Per otto volte Gesù insiste sul perché del mangiare la sua carne: per vivere davvero. E’ incalzante la certezza da parte di Gesù di possedere il segreto che cambia la direzione, il senso, il sapore della vita. Si tratta di una vita come quella di Gesù, capace di amare, come nessuno ha mai amato. Gesù invita a nutrirsi del suo modo di vivere, come un bimbo che è ancora nel grembo della madre e si nutre del suo sangue. Non dimentichiamo che la vita eterna non è una specie di Tfr (Trattamento di fine rapporto), la liquidazione finale che accumulo con il il mio buon comportamento. La vita eterna è già cominciata, è una vita diversa, vera, giusta, una vita come quella di Gesù, buona, bella e beata.

    Gesù non fornisce regole e divieti da osservare, ma il segreto, la chiave per far fiorire la vita in tutte le sue forme, gustarla appieno è vivere come Lui ha vissuto. Gesù fa appello alla libertà di ogni discepolo: sei libero, puoi andare o restare, io non costringo nessuno. Ora è però il momento di decidersi: diventare ricercatori di vita mai rassegnati.

    A nome nostro Pietro risponde:Tu solo hai parole che fanno vivere”. Tu solo sai annunciare cose che aprono squarci di speranza immensa, che fanno viva, finalmente, la vita. Pietro riconosce Gesù come l’inviato di Dio, il vero e definitivo rivelatore di Dio, colui che solo può dare la vita eterna.

    Ma a noi, la vita eterna interessa?  Il salmo responsoriale 33: “c’è qualcuno che desidera la vita? C’è qualcuno che vuole lunghi giorni felici per gustarli?”.

    Pietro risponde: “Io, Signore, voglio vivere, voglio vita per sempre. Voglio vivere la meraviglia di chi, spezzando la conchiglia, trova la perla preziosa. Dio vuole liberarci dalla morte, dall’insignificanza, dall’inutilità della vita. Noi, purtroppo, cerchiamo di eliminare questa riflessione: lo scandalo, la durezza di vivere il vangelo: preferiamo la mediocrità. Abbiamo cancellato le pagine più impegnative del Vangelo, abbiamo annacquato il vino: abbiamo addomesticato il Vangelo.

     Gesù ci invita oggi a riflettere: fa appello alla nostra libertà, non ci costringe. Ci dice che ora è però il momento di decidersi. Se l’accogliamo, attorno a noi ricomincia la vita, vivremo la gioia di viverla come l’ha vissuta Lui.

    Come Pietro, pronunciamo anche noi la nostra dichiarazione di amore: vogliamo vivere e solo tu hai parole che fanno viva, finalmente, la vita.

  • ASSUNTA: SIAMO GERMOGLI DI LUCE NEL MONDO

    ASSUNTA: SIAMO GERMOGLI DI LUCE NEL MONDO

    Parrocchia di Fontane
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    ASSUNTA: SIAMO GERMOGLI DI LUCE NEL MONDO
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    Lc 1, 39-56

    In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda.

    Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo.

    Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».

    Allora Maria disse:

    «L’anima mia magnifica il Signore

    e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore,

    perché ha guardato l’umiltà della sua serva.

    D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.

    Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente

    e Santo è il suo nome;

    di generazione in generazione la sua misericordia

    per quelli che lo temono.

    Ha spiegato la potenza del suo braccio,

    ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;

    ha rovesciato i potenti dai troni,

    ha innalzato gli umili;

    ha ricolmato di beni gli affamati,

    ha rimandato i ricchi a mani vuote.

    Ha soccorso Israele, suo servo,

    ricordandosi della sua misericordia,

    come aveva detto ai nostri padri,

    per Abramo e la sua discendenza, per sempre».

    Maria rimase con lei circa tre mesi, poi tornò a casa sua.

    L’assunzione di Maria in cielo in anima e corpo è l’icona del nostro futuro, anticipazione di un comune destino: annuncia che l’anima è santa, ma che il creatore non spreca le sue meraviglie: anche il corpo è santo e avrà, trasfigurato, lo stesso destino dell’anima. Perché l’uomo è uno. Il corpo dell’uomo, che è un tessuto di prodigi, avrà, trasfigurato, lo stesso destino dell’anima, e Dio occuperà cuore e corpo e “sarà tutto in tutti” (Col.3,11). Questo corpo, in cui sentiamo la densità della gioia, in cui soffriamo la profondità del dolore, diventerà, nell’ultimo giorno, porta aperta alla comunione, trasparenza di cristallo, sacramento dell’incontro perfetto.

    Il segno  della donna nel cielo, evoca certo Maria, ma anche l’intera umanità, la Chiesa di Dio, ciascuno di noi. Le verità che riguardano Maria sono l’alfabeto della nostra vita. C’è una comune vocazione: assorbire la luce, farcene custodi, essere nella vita datori di vita. La festa dell’Assunta ci chiama ad aver fede nell’esito buono, positivo della storia: la terra è incinta di vita e non finirà fra le spirali della violenza; il futuro è minacciato, ma la bellezza della vita della Donna sono più forti della violenza di qualsiasi drago.

    Maria è la sorella che è andata avanti: il suo destino è il nostro, e già da ora. La nostra vocazione è essere nella vita, datori di vita. Essere creature solari, generanti vita, in lotta contro il male. Chiamati a mandare segnali di vita attorno a noi, a non arrenderci mai. La donna dell’Apocalisse non traccia i privilegi che riguardano solo Maria, ma l’intera umanità incamminata verso la luce. Maria è l’anticipo, il collaudo, la caparra di ciò che avverrà per ciascuno di noi. Anche noi innalzati, per una forza divina di gravità che ci attira verso l’alto, anche noi sollevati verso Dio, avremo un giorno corpi di luce. Nel cielo futuro splende la bellezza di volti e di corpi. Questo corpo, così fragile, in cui sentiamo la densità dell’amore, in cui soffriamo la profondità del dolore, diventerà nell’ultimo giorno, varco spalancato per la comunione con Dio e con i fratelli.

    Il Vangelo presenta come protagoniste due donne, con un mistero di Dio presente nel loro grembo: due madri che profetizzano. Elisabetta prolunga il giuramento di Dio che nella creazione benedice Adamo ed Eva, e lo estende da Maria ad ogni donna, ad ogni creatura. Che possiamo anche noi proclamare questa benedizione a chi arriva nelle nostre case: “Dio mi benedice con la tua presenza, possa benedirti con la mia presenza”.

    “Maria si mise in viaggio in fretta verso la montagna”. Maria è la donna del viaggio compiuto in fretta, perché l’amore ha sempre fretta, non sopporta ritardi. Donna in viaggio, figura di chi cammina verso un mondo nuovo sulle tracce di Dio. Donna in viaggio verso altri: Maria non si è mai ritagliata uno spazio da riservare a sé, ma va continuamente verso altri. Donna in viaggio da casa in casa, che lascia la casa di Nazaret e va da Elisabetta, agli sposi a Cana, a Cafarnao…

    Anche noi siamo umanità incamminata verso la vita, umanità fragile, che non si arrende e sempre incamminata, che ama con la stessa intensità il cielo e la terra. L’assunta è allora la festa della nostra comune migrazione verso la vita. Siamo germogli di luce nel mondo.

    Il magnificat è il canto della speranza dei piccoli. Che bello questo Dio che pensa in grande per noi! Ci chiama a pensare in grande di tutte le persone! E anche di noi stessi. Il magnificat deve diventare il nostro canto di ringraziamento, in quanto vediamo continuamente il Signore piegarsi su tutti gli uomini e tutte le donne, umili creature, e assumerli con sé nel cielo per divenire per sempre suoi familiari.

    Chiediamo al Signore di essere come Maria, creature sempre incamminate, caduti ma incamminati, peccatori ma incamminati verso una vita che non conoscerà tramonto.