Autore: Alessandra Giorgi

  • UN FUTURO SEGNATO DALLA CERTEZZA

    UN FUTURO SEGNATO DALLA CERTEZZA

    Parrocchia di Fontane
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    UN FUTURO SEGNATO DALLA CERTEZZA
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    Mc 13,24-32

    In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:

    «In quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte.

    Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo.

    Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l’estate è vicina. Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, è alle porte.

    In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno.

    Quanto però a quel giorno o a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre».

    È il discorso di addio di Gesù che si congeda dalla sua piccola comunità, da quelli che ha chiamato ad essere suoi testimoni nel mondo. Il brano risente della situazione di vita che stavano vivendo questi testimoni durante la persecuzione di Nerone e la guerra giudaica. Allora diversi credenti, che vivevano la diaspora, hanno pensato che questi avvenimenti fossero chiari segni della fine del mondo. 

    Il brano annuncia che la distruzione di Gerusalemme non è la fine del mondo. Annuncia la perfetta realizzazione del Regno e l’entrata trionfale e definitiva di Dio nella vita degli uomini. Per noi che viviamo di solo presente, il vangelo oggi apre una porta nella parete del tempo, perché possiamo guardare oltre, non per annunciarci la data di un futuro, ma per insegnarci a vivere giorni aperti al futuro. Il Vangelo non ci parla della fine del mondo, ma del senso della storia.

    Protagonista dell’evento è solo Dio che porta a compimento la storia della salvezza, mediante il Figlio suo Gesù, ormai Figlio dell’uomo glorificato, che manda i suoi angeli a radunare gli “eletti”. Dio entra così in modo definitivo nella storia. Il Figlio dell’uomo unisce in sé potenza e sofferenza. E’ attraverso la sofferenza e morte che realizza la salvezza, trasformando l’attesa in “apocalisse”. E’ il Cristo pasquale che, “assiso alla destra di Dio”, viene verso gli uomini per l’ultimo atto di un’opera inaugurata da Lui durante la sua vita terrena. Questa è una certezza assoluta. I discepoli sono così rassicurati, perché, dopo le prove, il Figlio dell’uomo li radunerà per costruire, sotto la sua guida, la comunità degli eletti. Nasce il nuovo mondo di Dio che condivide il regno e il potere. Il Cristo che viene non ha l’aspetto minaccioso o del giudizio, ma solo parole di incoraggiamento ai credenti che sono nella prova, invitati a vivere nella speranza, con la certezza che la loro salvezza è assicurata da questa venuta gloriosa di Cristo. Ci sono degli angeli inviati a loro per radunarli.

    Questa certezza del futuro ha la forza di illuminare anche il senso della nostra vita? Molto spesso l’esperienza quotidiana sembra dirci che il male vince e il bene perde: ma è così? Ognuno di noi ha detto almeno una volta: per me è finita! A volte nella nostra vita si spegne il sole, lasciandoci poveri, senza sogni: una disgrazia, una delusione, la morte di una persona cara, una sconfitta nell’amore… Per valutare le cose in profondità e non lasciarci ingannare dalle situazioni della vita è necessario che usciamo dai tempi brevi e spingiamo lo sguardo lontano, oltre le nubi, al ritorno del Figlio dell’uomo in potenza e gloria.

    Il vangelo ci illumina sul significato del nostro vivere oggi: c’è un mondo che muore ogni giorno e c’è un mondo che nasce ogni giorno. Il mondo è caratterizzato dalla fragilità: la nostra vita è fragile, così le istituzioni, la società, l’economia, la famiglia… Dentro questa fragilità drammatica della storia noi siamo chiamati a cogliere il passaggio dall’inverno alla primavera e all’estate.

    “Dalla pianta di fico imparate”. La gemma di un albero diventa personaggio di una rivelazione. Siamo chiamati a non fermarci all’inverno. Continuamente dobbiamo guardare oltre l’inverno, a credere nell’estate che inizia col quasi niente: una gemma su un ramo, la prima fogliolina di fico. La pianta di fico, che germoglia prima della vite, dà con certezza il segnale della primavera e che l’estate rapidamente si avvicina. Dentro questa speranza che è certezza, c’è tutto il lavoro del contadino. Anche noi, se faremo questo, usciremo dalla notte alla luce. La forza è la presenza di un Dio vicino, dentro le nostre fragilità. 

    Tutto questo si realizzerà quanto più sapremo accogliere le raccomandazioni di Gesù: “non allarmatevi, non preoccupatevi, pregate… non credete… state attenti… sappiate che Egli è vicino…”. Atteggiamenti difficili da vivere, possibili unicamente se sostenuti da una grande fede.

    Accogliamo quest’ultima assicurazione che Gesù ci consegna, che, se accolta, ci rende capaci di serenità e fedeltà, in quanto l’avvenire della storia è saldamente in mano di Colui che fu crocifisso. Conserviamo in fondo agli occhi il riverbero della speranza: appassioniamoci per la pace, per un mondo più giusto, più buono. Il cielo dell’umanità non sarà così mai vuoto e nero. Noi dobbiamo essere (“i giusti”) come stelle che si accendono su tutta la terra, illuminando i passi di molte persone. Uomini e donne assetati di giustizia, di pace, di bellezza. Tutti insieme, foglioline di primavera, del futuro buono che viene.

  • L’AMORE IN PERDITA DELLA POVERA VEDOVA

    L’AMORE IN PERDITA DELLA POVERA VEDOVA

    Parrocchia di Fontane
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    L’AMORE IN PERDITA DELLA POVERA VEDOVA
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    Mc 12,38-44.

    In quel tempo, Gesù [nel tempio] diceva alla folla nel suo insegnamento: «Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere. Essi riceveranno una condanna più severa».

    Seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo.

    Allora, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: «In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere»

    C’è un luogo nel tempio dove tutti passano. Gesù siede lì davanti ai dodici piccoli forzieri per le offerte, dove c’era il sacerdote che controllava la validità delle monete e dichiarava a voce alta, per la folla, l’importo dell’offerta, suscitando l’ammirazione dei presenti. Gesù sembra solo, seduto davanti alla sala del tesoro, ed osserva come la gente vi getta il denaro.

    Il brano è costruito come una contrapposizione tra gli scribi, i teologi ufficiali, potenti e temuti, e una donna senza nome, vedova e povera, senza difese e senza parole, e la fa maestra di vita e di fede.

    La descrizione dello scriba ha lo scopo di denunciare alcune strutture che possono rovinare qualsiasi uomo religioso in ogni epoca, in particolare l’atteggiamento vanitoso. In forza della posizione che occupavano, gli scribi pretendevano deferenza e venerazione. La cosa più grave era che avevano introdotto nella loro vita la menzogna: quella di separare il culto di Dio dalla giustizia: pregano Dio e danneggiano i poveri. La menzogna di illudersi di amare Dio e il prossimo, e invece non amavano che se stessi. Gli insegnamenti, le pratiche religiose che compivano, tutto doveva servire a metterli in luce, tutto a loro vantaggio.  

    Sono personaggi che hanno lo spettacolo nel sangue: passeggiano in lunghe vesti, amano i primi posti, essere riveriti per strada… E’ la riduzione della vita a spettacolo che conosciamo anche noi. Gli scribi sono identificati per tre comportamenti: come appaiono, la ricerca dei primi posti nella vita sociale, l’avidità con cui acquistano i beni: divorano le case delle vedove, insaziabili e spietati. Tre azioni rivelano i sintomi di una malattia devastante: apparire, salire e comandare, avere.

    Gesù invita le persone a non fidarsi di questi maestri, per il loro comportamento, per il loro modo di vivere. Alla base della loro vita non c’è l’amore. La società che essi vogliono è sullo stile dei regni di questo mondo, una società classista, in cui domina l’ingiustizia.

    Gesù contrappone i tre verbi alternativi del vangelo: essere, discendere, servire e donare. Ecco allora la povera vedova che offre poche monete, tutto quanto possiede. Nessun mormorio di ammirazione. Ma Gesù la scorge e richiama l’attenzione dei discepoli con parole importanti: “In verità, io vi dico…” Gesù vuole far riflettere i suoi discepoli per educarli ad una vera sequela anche sul modo di giudicare la gente. Gesù giudica il valore del dono a partire dalla situazione del donatore. A Gesù non interessa il dono, ma chi lo dà: è la persona che dà valore al dono.

    Gesù ha finalmente trovato ciò che cercava: un gesto autentico. Autenticità garantita da tre qualità: la totalità, la fede e l’assenza di ogni ostentazione. Quella povera vedova non ha dato qualcosa di superfluo, ma tutto ciò che aveva. Donare del superfluo non è ancora amore. E neppure fede. Donare a tal punto da mettere allo sbaraglio la propria vita, questa è fede. Quel giorno, la donna ha voluto che il suo poco fosse dono per gli altri, per Dio. Si è disfatta anche di ciò che poteva creare una piccola sicurezza umana per il domani. Si è affidata totalmente a Dio per condividere il suo bene con gli altri. Essa ha veramente dentro di sé l’amore di Dio e del prossimo. Questa vedova è l’immagine del vero credente, del vero discepolo di Cristo.

    Nel Vangelo di norma i poveri chiedono e supplicano. Qui una povera vedova non chiede nulla per sé, ma dona tutto, anche gli ultimi spiccioli di vita.

    Gesù capovolge il modo di pensare del mondo: “più denaro è bene, meno denaro è male”. Le bilance di Dio non sono però quantitative, ma qualitative, quelle del cuore. Quelli che sorreggono il mondo sono gli uomini e le donne di cui i giornali non si occuperanno mai, quelli dalla vita nascosta, fatta solo di fedeltà, di generosità, di onestà, di giornate a volte cariche di immensa fatica.

    I primi posti di Dio appartengono a quelli che regalano vita quotidianamente, con mille gesti non visti da nessuno: gesti di cura, di attenzione, rivolti ai genitori, ai figli, a chi busserà domani…

    L’uomo, per star bene, deve dare. E’ la legge della vita. Dare come un povero, non come un ricco, ha in sé qualcosa di divino. Si può amare senza misura, amare per primi, amare in perdita, amare senza contraccambio.   

  • I DUE VOLTI DELLO STESSO AMORE.

    I DUE VOLTI DELLO STESSO AMORE.

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    I DUE VOLTI DELLO STESSO AMORE.
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    Mc 12,28-34

    In quel tempo, si avvicinò a Gesù uno degli scribi e gli domandò: «Qual è il primo di tutti i comandamenti?».

    Gesù rispose: «Il primo è: “Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza”. Il secondo è questo: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Non c’è altro comandamento più grande di questi».

    Lo scriba gli disse: «Hai detto bene, Maestro, e secondo verità, che Egli è unico e non vi è altri all’infuori di lui; amarlo con tutto il cuore, con tutta l’intelligenza e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici».

    Vedendo che egli aveva risposto saggiamente, Gesù gli disse: «Non sei lontano dal regno di Dio». E nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo.

    Siamo nell’ultima settimana della vita di Gesù. Settimana di rifiuto e di odio, di passione e morte. Fissiamo lo sguardo su Gesù in attento ascolto. Dopo tre controversie con i suoi avversari, ci viene presentato il dialogo tra Gesù e uno scriba: un dialogo tra due amici, che crea sintonia, stima, amicizia su un tema allora assai discusso: qual è nella Legge il più grande, primo comandamento? Lo sapevano tutti in Israele: era il terzo, quello che prescrive di santificare il sabato, perché anche Dio lo aveva osservato (Genesi 2,2). Meraviglia il perfetto accordo e l’assicurazione data allo scriba di essere alla soglia del regno di Dio. Lo scriba infatti riconosce in Gesù un maestro dall’insegnamento sicuro. E poi, la Legge vissuta dal popolo ebreo coincide con la vita dei cristiani proposta da Gesù. 

    Gesù risponde citando un passo del Deuteronomio: “Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua forza”; e un passo del Levitico: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”.

    Ascolta Israele...” è la preghiera che ogni israelita era tenuto a fare al mattino e alla sera, che esprimeva la fede nel Dio unico di Israele, quello delle promesse e dell’Alleanza: deve essere amato compiendo l’obbedienza ai suoi comandamenti. L’amore non è sinonimo di obbedienza, ma è il “principio animatore” dell’esistenza.

    La risposta di Gesù spiazza tutti e va oltre: non aggiunge nulla di nuovo rispetto alla legge antica, eppure il suo comandamento è nuovo: tu amerai. Gesù invita a non smarrirsi nel labirinto dei precetti: la volontà di Dio è semplice e chiara: amare Dio e gli uomini. Ciò che dona felicità all’uomo non è l’obbedienza alle regole, ma, semplicemente, l’amare. Il primo comandamento non è uno solo, ma due, però strettamente congiunti, come due facce della stessa realtà. E’ nella capacità di mantenere uniti i due amori – l’amore di Dio e l’amore del prossimo – la misura vera della fede e della genialità cristiana. Le due parole fanno insieme una sola parola, l’unico comandamento.

    L’averli separati è l’origine dei nostri mali. In questi ultimi anni della nostra storia ci sono state persone che, per amare Dio, si sono estraniate dagli uomini. Hanno pensato di amare Dio, trascurando di amare il prossimo, non reagendo di fronte alle ingiustizie e non lottando contro le oppressioni: ma a quale Dio si sono riferite? Non certo al Dio di Gesù Cristo.

    Altre persone, per lottare a fianco degli uomini, hanno dimenticato Dio. Si sono fermate ad amare il prossimo, ma contemporaneamente, rifiutando di amare l’unico Signore, sono cadute facilmente in potere degli idoli. Mentre pensavano di amare il prossimo, facilmente lo strumentalizzavano, imponendogli le proprie idee, la propria visione del mondo, la propria giustizia. Soprattutto, mentre si voleva aiutare l’uomo ad essere più uomo, lo si è allontanato dal suo bisogno più profondo: dalla sua ricerca di Dio. La dedizione al prossimo non esaurisce la sete di amore dell’uomo. E’ l’apertura a Dio che conduce a compimento l’apertura al prossimo. E’ Dio il punto a cui tende tutto il nostro essere. 

    Amerai: un verbo al futuro, come per un viaggio mai finito… Il percorso della fede inizia con un “sei amato” e si conclude con un “amerai”. In mezzo germoglia la nostra risposta al corteggiamento di Dio.

    Ma come amare? “Con tutto”, ripetuto 4 volte: cuore, mente, anima, forza. L’unica misura dell’amore è amare senza misura. Per raccontare l’amore verso il prossimo, Gesù regala la parabola del samaritano buono. Per indicare come amare Dio, sceglie una donna; Maria di Betania “che, seduta ai piedi di Gesù, ascolta la sua parola (Lc 10,38). Non lascerà cadere neppure una delle sue parole. Amare Dio è ascoltarlo da innamorati. Ama, e fa risplendere l’immagine di Lui che è dentro di te. Perché l’amore trasforma, ognuno diventa ciò che ama. Se ameremo Dio, saremo simili a Lui, cioè creatori di vita, perché Dio, continuamente, non fa altro che questo.    

  • OGNI UOMO E’ UN MENDICANTE DI LUCE

    OGNI UOMO E’ UN MENDICANTE DI LUCE

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    OGNI UOMO E’ UN MENDICANTE DI LUCE
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    Mc 10,46-52

    In quel tempo, mentre Gesù partiva da Gèrico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timèo, Bartimèo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!».

    Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!».

    Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». Chiamarono il cieco, dicendogli: «Coraggio! Àlzati, ti chiama!». Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù.

    Allora Gesù gli disse: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». E il cieco gli rispose: «Rabbunì, che io veda di nuovo!». E Gesù gli disse: «Va’, la tua fede ti ha salvato». E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada.

    La guarigione di Bartimeo è l’ultimo miracolo del vangelo di Marco. Il primo fu la liberazione di un indemoniato nella sinagoga di Cafarnao (1,22-26), ora la guarigione di un cieco all’uscita dalla città di Gerico. I due miracoli illustrano la vittoria di Cristo sulle forze ostili che l’uomo incontra nella sua vita: la presenza del Maligno e la cecità dell’uomo.

    Il racconto è scarno e vivo, pieno di movimento, di grida, di strade e di luce. Il ritratto del mendicante ci è tracciato con tre drammatiche pennellate: cieco, solo, mendicante: un’esistenza inutile! Icona di ogni persona. E’ seduto sul ciglio della strada di Gerico, come chi si è fermato e si è arreso di fronte ai problemi della vita. Qualcuno lo metteva al mattino vicino alla strada, con il lembo del mantello steso a terra per ricevere qualcosa. Quel giorno c’era molta gente che passava, ma probabilmente nessuno pensava a lui.

    I discepoli sembrano scomparsi; protagonisti sono ora Gesù e il cieco. Negli episodi di queste ultime domeniche i discepoli sono stati presentati nella loro perplessità, esitazione, incomprensione di fronte alle richieste di Gesù. Ora Bartimeo “subito” si mise a seguire Gesù lungo la strada. Modello da imitare sembra essere lui, non i discepoli. 

    Il racconto mette in evidenza che quello che umanamente sembra impossibile, non lo è per Dio, perché “tutto è possibile a Dio”. Il possibile non si misura sulle forze dell’uomo, ma sulla grandezza del dono di Dio. Il racconto ci fa assistere ad una completa, impensabile trasformazione: un uomo era cieco e ora ci vede, era seduto e ora segue Gesù lungo la via. Un uomo impotente è trasformato in un discepolo coraggioso. Due sono le condizioni: la preghiera: “Gesù, abbi pietà di me”, e la fede “Va, la tua fede ti ha salvato”.

    Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me. Bartimeo, quando venne a sapere che passava Gesù, il Nazzareno, si preoccupò di farsi notare. Non mancandogli la voce, urlò. La sua voce era piena di fede: invoca Gesù come il Messia promesso, come colui che avrebbe aperto gli occhi ai ciechi. Gli gridò la sua disperata speranza. Gesù si sentì chiamato a compiere la sua missione. Rimase però sulla strada, quella che portava a Gerusalemme per continuare la sua missione. 

    La folla fa muro e comincia a dire al cieco: Taci, non domandare, non disturbare, rassegnati, tanto non è possibile guarire: accontentati, non c’è altro da vedere; cosa vai cercando?, non vogliamo straccioni nel corteo.

    “Chiamatelo”. Gesù lo chiama, ha compassione. E Bartimeo comincia a guarire, prima come uomo e poi come cieco. Gesù può dare la luce, dare occhi profondi che vedono, vedono addirittura il cuore di Dio e il senso della vita.

       Ed ecco dalla folla tre parole: coraggio, alzati, ti chiama. Queste parole il Signore vuole che le teniamo presenti anche noi: incoraggiare, dare amore e speranza, frutto della fiducia in Dio, a tutti quelli che gridano dal dolore, soprattutto rimettere in piedi, aiutare a ripartire, non gettare a terra nessuno. Noi saremo come Cristo non se faremo miracoli, ma se sapremo far sorgere nel mondo il tempo della divina compassione. 

    E subito. Tutto sembra eccessivo, esagerato: il cieco non parla, grida; non si toglie il mantello, lo getta; non si alza in piedi, ma balza in piedi. La fede è questo: un eccesso, un di più illogico e bello, qualcosa che moltiplica la vita. Il cieco lascia ogni sostegno per avanzare senza vedere, le mani avanti, verso quella voce che lo chiama. Guidato, orientato solo dalla parola di Cristo che vibra nell’aria.

    “Che cosa vuoi che io faccia per te?” E’ Dio che parla, servitore della nostra vita. Se un giorno sentissimo, con un brivido, queste stesse parole rivolte a noi, che cosa chiederemmo al Signore, che cosa portiamo nel cuore?

    Che io veda di nuovo”! E che cosa mai vuoi vedere? Bartimeo vede l’uomo Gesù, vede la sua via, il suo vangelo. Inizia a vivere, perché chiamato con amore. Anche noi ci orientiamo nella vita, come Bartimeo, senza all’inizio vedere, solo guidati dall’eco della Parola di Dio. Abbiamo lasciato i nostri angoli bui, la vita seduta, le vecchie strade.

    Ricordiamo: Il peggio che ci possa accadere è di innamorarci della nostra cecità, o del nostro mendicare, seduti ai bordi della vita. Accanto ai nostri naufragi passa però sempre Gesù che ci chiama. Ascoltiamo la sua voce che ci indica la vita negli eventi della storia, nel gemito e nel giubilo del creato. Lui continua a seminare occhi nuovi e luce nuova sulla terra! La preghiera del cieco diventi la nostra preghiera in modo che, vedendoci chiaro, anche noi con amore percorriamo la strada che porta a “Gerusalemme”: l’unica via sicura è quella della “Croce”.

  • CREATI PER ESSERE SERVITI DA DIO

    CREATI PER ESSERE SERVITI DA DIO

    Parrocchia di Fontane
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    CREATI PER ESSERE SERVITI DA DIO
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    Mc 10,35-45

    In quel tempo, si avvicinarono a Gesù Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedèo, dicendogli: «Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo». Egli disse loro: «Che cosa volete che io faccia per voi?». Gli risposero: «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra».

    Gesù disse loro: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?». Gli risposero: «Lo possiamo». E Gesù disse loro: «Il calice che io bevo, anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato».

    Gli altri dieci, avendo sentito, cominciarono a indignarsi con Giacomo e Giovanni. Allora Gesù li chiamò a sé e disse loro: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».

    Dopo il terzo annuncio della passione, gli apostoli stanno seguendo Gesù, in cammino verso Gerusalemme, non senza paura. In questa discussione Giacomo e Giovanni non rifiutano la passione. Come Gesù guardano, nella speranza, alla gloria che seguirà. E’ sul dopo che vogliono discutere, sul quando il Figlio dell’uomo sarà coronato di gloria, siederà sul trono e avrà potere accanto a Dio. Non chiedono privilegi sulla terra, ma i primi posti in cielo e sedere accanto a Gesù glorioso.

    Giovanni, l’apostolo “preferito”, il più vicino a Gesù, chiede per sé e per suo fratello i primi posti, provocando la reazione unanime di gelosia degli altri dieci. E’ come se finora Gesù avesse parlato a vuoto. Dopo tre anni di strade, di malati guariti, dopo tre annunci della morte in croce, è come se ancora non avessero capito niente.

    “Non sapete quello che chiedete” La ricerca del primo posto è una passione così forte che penetra e avvolge il cuore di tutti. La volontà di grandezza è innata nell’uomo, ma domanda un’inversione. Ma cosa scatena questa fame di potere? E’ il pensare l’autorità come potere, non come servizio. 

    Gesù li interroga subito sull’oggetto della loro richiesta. Hanno parlato sconsideratamente, la loro richiesta è insensata. Non hanno compreso che se vogliono essere associati alla gloria di Cristo, devono prima condividere la sua prova.

    Gesù oppone la condotta dei capi di Stato a quella che Egli vuole vedere predominare tra i suoi discepoli. Quello che essi conoscono è il modo di comportarsi dei “capi”: padroni che esercitano un potere dominatore sui popoli sottomessi. Governano spadroneggiando e schiacciando i deboli. L’autorità è importante, ma va esercitata in modo radicalmente diverso: non dominio, ma servizio, e Gesù si presenta come modello obbligatorio da contemplare e da imitare. Gesù invita a fissare lo sguardo su di Lui, che vive il servizio fino a “dare liberamente la propria vita”. Una morte voluta in anticipo. Gesù va spontaneamente alla morte perché si compia la volontà del Padre.

    Quando uno si accorge che il proprio modo di comportarsi è come quello dei potenti del mondo, deve preoccuparsi, fermarsi a contemplare Gesù e, con la forza dello Spirito Santo, cambiare modo di vivere.

    Con il suo modo di vivere la solidarietà, Gesù prende le radici del potere e le capovolge mettendole al sole e all’aria! Servizio è il nome nuovo dell’amore, il nome nuovo di Dio. Gesù assicura che non è venuto per procurarsi dei servi, ma per essere il servo. DIO, MIO SERVITORE. Non fermiamoci a Dio, padrone e signore dell’universo, al cui trono ci inginocchiamo. Dio non tiene il mondo sotto i suoi piedi, ma è Lui che si inginocchia ai piedi di ognuno dei suoi figli, si cinge un asciugamano e lava i piedi e le ferite. Si inchina davanti a noi, e i nostri piedi sono fra le sue mani.

    Pensiamo attentamente a questo autentico volto di Dio nostro servitore, che Gesù ci ha rivelato. Il padrone fa paura, il servo no. Cristo ci libera dalla paura delle paure: quella di Dio. Il padrone giudica e punisce, il servo no. Siamo stati creati per essere amati e serviti da Dio qui e per sempre. Non siamo noi che esistiamo per Dio, ma è Dio che esiste per noi, per amarci, servirci, conoscerci, per lasciarsi stupire da noi: imprevedibili, splendidi, a volte meschini figli che siamo. Il vero volto di Dio lo vediamo in Gesù: Dio è Colui che continuamente viene, viene come nostro servitore, come Colui che si è fatto servo di tutti, donando la vita. La mia vita è il primo lavoro di Dio: Dio non si serve di noi, ma fa sua la nostra causa. Non pretende che siamo già luminosi, ma ci lavora perché lo diventiamo. Non è l’uomo creato per conoscere, amare, e servire Dio, ma è Dio che esiste per amare e servire l’uomo.

    Gesù ci invita a fissare lo sguardo su di Lui, a non ragionare e pensare come gli uomini, a essere servi di ogni frammento di vita. Nel mondo, quelli che governano spadroneggiano e schiacciano i deboli. I discepoli devono contestare questo modo di agire degli uomini e costruire un’umanità di fratelli, dove ognuno mette i doni ricevuti a servizio del bene comune, senza ricerca di privilegi. Proviamo ad immaginare un’umanità dove ognuno corre, nel servizio, ai piedi degli altri, un’umanità dove non ci sono padroni, ma tutti sono a servizio di tutti!

    Questa è la santità: una passione convertita da “primo” a “servo”. Cosa non facile perché temiamo che il servizio sia nemico della felicità. E’ così duro ogni giorno custodire germogli, vegliare sui primi passi della luce, benedire ciò che nasce! Non resta che lasciarci abitare da Gesù, per irradiare il Vangelo. Se Dio è nostro servitore, servizio è il nome nuovo della storia, il nome segreto della civiltà.

  • LA LIBERTÀ CHE IL GIOVANE RICCO NON HA CAPITO

    LA LIBERTÀ CHE IL GIOVANE RICCO NON HA CAPITO

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    LA LIBERTÀ CHE IL GIOVANE RICCO NON HA CAPITO
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    Mc. 10,17-30

    In quel tempo, mentre Gesù andava per la strada, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?». Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti: “Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre”».

    Egli allora gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza». Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!». Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni.

    Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: «Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!». I discepoli erano sconcertati dalle sue parole; ma Gesù riprese e disse loro: «Figli, quanto è difficile entrare nel regno di Dio! È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio». Essi, ancora più stupiti, dicevano tra loro: «E chi può essere salvato?». Ma Gesù, guardandoli in faccia, disse: «Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio».

    Pietro allora prese a dirgli: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito». Gesù gli rispose: «In verità io vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa mia e per causa del Vangelo, che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà».

    Gesù, dopo essere stato in casa con i discepoli, è di nuovo in cammino verso Gerusalemme, dove donerà la vita.

    Un uomo ricco gli corre incontro: manifestando un rispetto eccezionale, si getta ai suoi piedi, come se avesse l’urgenza e l’ansia di una risposta. Un uomo senza nome: il suo nome è stato rubato dal denaro che crea uomini a propria immagine e somiglianza, senza nome e senza anima. Pur osservando la Legge, è insoddisfatto e per questo aspetta da Gesù che gli suggerisca qualcosa di più da compiere.

    Il suo correre incontro al Signore è un gesto bello, pieno di slancio e desiderio. Ha dentro di sé grandi domande e grandi attese. Vuole sapere se è vita o no la sua. Alla fine se ne andrà deluso e triste, perché ha un sogno, ma non il coraggio di trasformarlo in realtà. Pur attratto da Gesù, non ha la forza di vincere l’attrazione delle ricchezze.

    Gesù, aperto a tutti gli incontri, è lì che lo attende. Ascolta la sua grande domanda: cosa deve fare per trovare la vita? Colui che parla è un credente: crede nella resurrezione e nella vita futura con Dio, e la vuole raggiungere. Non la considera però come puro dono, come di fatto è ogni eredità, ma la vuole meritare.

    Gesù lo rimanda ai comandamenti, quelli che parlano delle relazioni con il prossimo, che sono la verifica dell’autenticità della relazione con Dio. Un uomo che ha compiuto sempre il proprio dovere dovrebbe sentirsi a posto, invece, no. E’ insoddisfatto, gli manca qualcosa. E’ questa insoddisfazione che lo sta portando a diventare cercatore di “tesori”. Gesù vede avanzare questo cercatore di vita, e lo ama. Lo ama per quell’inquietudine che apre al futuro, che mette in atteggiamento di ricerca.

    La via della vita sta nel seguire Gesù, donando se stessi fino alla morte, vendendo tutto ai poveri. L’uomo si spaventa e si rattrista per questa parola. Il suo volto si oscura: ci vuole troppo coraggio. Non ha capito che la felicità non dipende dal possesso, ma dal dono. Per tutta la vita resterà così: onesto e triste, osservatore e cupo. Quanti di noi sono come il ricco, onesti e infelici! E’ drammatico questo incrocio di sguardi: quello profondo di Gesù sull’uomo ricco e quello cupo e rattristato dell’uomo che se ne va! Un enorme macigno: le troppe ricchezze ostacolano il cammino verso la vita.

    Gesù propone l’amore ai fratelli, lui preferisce la solitudine; Gesù propone un tesoro di persone, lui preferisce le cose. Seguire Gesù è lasciare tutto, ma per avere tutto. Il vangelo chiede la rinuncia, ma solo di ciò che è zavorra. Dio ci ha dato le cose per servircene e gli uomini per amarli. Noi abbiamo amato le cose e ci siamo serviti degli uomini.

    Quello che Gesù propone è un uomo libero e pieno di relazioni. Non è un discorso di sacrifici, ma di lasciare tutto per avere tutto, per moltiplicare per cento quel poco che abbiamo, quel nulla che siamo, e riempire la vita di affetti e di luce. Le regole del Vangelo sul denaro sono due: a) non accumulare, b) quello che hai, condividilo. Non porre la tua sicurezza nell’accumulo, ma nella condivisione.

    Non basta lasciare i beni, occorre darli ai poveri. E’ un distacco per la fraternità, una libertà per essere a disposizione. Anche noi di fronte a questa proposta ci smarriamo: è possibile? Anche per l’uomo ben disposto, i beni accumulati sono praticamente un ostacolo insormontabile, che può essere superato dalla forza di Dio onnipotente, per il quale niente è impossibile.

    Questa salvezza non è però in potere dell’uomo, ma dono gratuito di Dio e non può essere meritata. Si cammina verso la vita, perché sostenuti dalla forza di Dio che è in noi. La ricchezza è forse l’ostacolo che più impedisce il cammino della croce e il mettersi in sintonia con Gesù e la sua parola. Immaginare poi la sequela come una strada di morte, impedisce una risposta positiva alla richiesta di Gesù. 

    2. Dialogo tra Gesù e i discepoli: questo  ricco non fa altro che manifestare la difficoltà per tutti di entrare nel regno di Dio.

    – 3. Dialogo con Pietro e i discepoli: si passa dal gruppo dei discepoli di Gesù durante la sua vita in questo mondo, a tutti quelli che, più tardi, accetteranno le stesse rinunce per annunciare il Vangelo

  • IL SOGNO DI DIO E’ CHE NESSUNO SIA SOLO

    IL SOGNO DI DIO E’ CHE NESSUNO SIA SOLO

    Parrocchia di Fontane
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    IL SOGNO DI DIO E’ CHE NESSUNO SIA SOLO
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    Mc. 10, 2-16

    In quel tempo, alcuni farisei si avvicinarono e, per metterlo alla prova, domandavano a Gesù se è lecito a un marito ripudiare la propria moglie. Ma egli rispose loro: «Che cosa vi ha ordinato Mosè?». Dissero: «Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di ripudiarla».

    Gesù disse loro: «Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. Ma dall’inizio della creazione [Dio] li fece maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola. Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto».

    A casa, i discepoli lo interrogavano di nuovo su questo argomento. E disse loro: «Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio verso di lei; e se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio».

    Gli presentavano dei bambini perché li toccasse, ma i discepoli li rimproverarono. Gesù, al vedere questo, s’indignò e disse loro: «Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro infatti appartiene il regno di Dio. In verità io vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso». E, prendendoli tra le braccia, li benediceva, imponendo le mani su di loro.

    Gesù abbandona per sempre la Galilea, va oltre il Giordano, nella regione della Perea che era sotto il dominio di Erode Antipa. Gesù, com’era sua abitudine, sta insegnando alle folle, quando alcuni farisei gli fanno la domanda sul divorzio: “è lecito a un marito ripudiare la propria moglie?” Gesù non si sofferma a mettere in evidenza che quanto Mosè aveva comandato era in difesa della donna. L’atto scritto di separazione serviva alla donna per dimostrare che essa non era infedele al marito, ma una donna libera, perché l’uomo non la voleva più. Gesù conosceva anche che nella legge ebraica non c’era parità di diritti: alla donna, la parte più debole, non era riconosciuta la possibilità di ripudiare il marito.

    Gesù si rende conto che è una domanda trabocchetto e subito vuole portare le persone oltre le strettoie di una vita immaginata come esecuzione di ordini, come obbedienza a norme. Non vuole redigere nuove norme, regolare meglio la vita, ma ispirarla, rinnovarla. Simone Weil diceva: “mettere la legge prima della persona è l’essenza della bestemmia”. E’ non usare il fuoco per adorare la cenere. Il respiro di Dio non può essere ridotto a norma.

    Gesù ci prende per mano e ci accompagna dentro il disegno originario di Dio, a respirare l’aria degli inizi: in principio, prima della durezza del cuore, non fu così. Ci invita a guardare la vita non dal punto di vista degli uomini, ma del Dio della creazione, nel regno dell’Eden, fatto di bellezza e gratuità. C’è un male più antico del peccato, che precede la colpa originale, ed è la solitudine, il primo nemico della vita.

    Il sogno di Dio è che nessuno sia solo, senza sicurezza. Dio è contro la solitudine: Lui stesso è Trinità: amore meraviglioso di tre persone. Il nome di Dio è dal principio: “colui che congiunge”, la sua opera è creare comunione. Dio è amore, e amore è passione di unirsi all’amato. Il nemico invece ha nome Diavolo, Separatore, la cui passione è dividere.

    L’uomo non divida, cioè agisca come Dio, s’impegni totalmente nelle sue relazioni d’amore. Il peccato è trasgredire, contaminare questo sogno di Dio. Se non ricuciamo e ricongiungiamo, se il nostro amore è duro e aggressivo, invece che dolce e umile, noi stiamo ripudiando il sogno di Dio, siamo già adulteri nel cuore. Il peccato è tradire il regno degli inizi, trasgredire il sogno di Dio. Invece di tener vivo l’amore, facciamo emergere l’infedeltà, la mancanza di rispetto, l’offesa alla dignità: l’essere l’uno per l’altro non è più causa di vita, ma di morte quotidiana.

    Il matrimonio che non si divide diventa allora vangelo: lieta notizia che l’amore è possibile, che il sogno di Dio non è svanito all’alba. Ogni uomo e ogni donna che camminano insieme si regalano reciprocamente la gioia con cui Dio benediceva Eva: tu sei per me salvezza al mio fianco. La medesima fedeltà vissuta da Gesù viene vissuta dagli sposi che, così, fanno trasparire, con la loro fedeltà, l’amore di Cristo.

    “Gesù si indignò”: “lasciate che i bambini vengano a me”… L’indignazione di Gesù ci rivela che i bambini sono cosa sacra. Gesù perde tempo con loro. Pur incamminato verso Gerusalemme, Egli non ha cosa più importante da fare. Osservando il loro essere ultimi nella società, quelli che non contano, quelli che hanno bisogno di tutto, il discepolo è chiamato a sentirsi piccolo davanti a Dio e agli uomini, a mettere da parte ogni volontà di dominio sugli altri. Il Regno di Dio è dono gratuito, nessuna opera umana lo può meritare.

    I bambini sanno aprire facilmente la porta del cuore ad ogni incontro, non hanno maschere, sono maestri nell’arte della fiducia e dello stupore. Sanno vivere come i gigli del campo e gli uccelli del cielo, si fidano della vita, credono nell’amore.

    “Prendendoli tra le braccia li benediceva”: perché nei loro occhi il sogno di Dio brilla, non contaminato ancora. 

  • SI PUÒ ESSERE DI CRISTO SENZA APPARTENERE ALLA COMUNITÀ CRISTIANA

    SI PUÒ ESSERE DI CRISTO SENZA APPARTENERE ALLA COMUNITÀ CRISTIANA

    Parrocchia di Fontane
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    SI PUÒ ESSERE DI CRISTO SENZA APPARTENERE ALLA COMUNITÀ CRISTIANA
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    Mc. 9,38-43.45.47-48.

    In quel tempo, Giovanni disse a Gesù: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva». Ma Gesù disse: «Non glielo impedite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me: chi non è contro di noi è per noi.

    Chiunque infatti vi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio nome perché siete di Cristo, in verità io vi dico, non perderà la sua ricompensa.

    Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, è molto meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare. Se la tua mano ti è motivo di scandalo, tagliala: è meglio per te entrare nella vita con una mano sola, anziché con le due mani andare nella Geènna, nel fuoco inestinguibile. E se il tuo piede ti è motivo di scandalo, taglialo: è meglio per te entrare nella vita con un piede solo, anziché con i due piedi essere gettato nella Geènna. E se il tuo occhio ti è motivo di scandalo, gettalo via: è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, anziché con due occhi essere gettato nella Geènna, dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue».

    Il dialogo tra Gesù e i discepoli è collocato in casa, un colloquio privato, per mettere in maggiore evidenza che queste parole di Gesù sono particolarmente indirizzate alla sua comunità.

    Giovanni è il portavoce della mentalità gretta dei discepoli, per i quali, la cosa più importante è la difesa del gruppo: l’istituzione viene prima delle persone, la loro idea prima dell’uomo. Il malato può aspettare, la felicità può attendere.

    Maestro, quell’uomo bravo che fa miracoli, che caccia i demoni, che libera le persone dal male, che restituisce alla vita, non è dei nostri. Ci oscura, ci toglie il pubblico. Dobbiamo difenderci, dev’essere bloccato e diffidato: l’istituzione prima di tutto!

    Traspare nelle parole di Giovanni, quell’egoismo di gruppo (non infrequente purtroppo), che spesso si maschera di fede, ma che in realtà è una delle sue più profonde smentite. Ci sono discepoli che mal sopportano che lo Spirito soffi dove vuole: ne sono gelosi e si sentono traditi nella loro funzione di testimoni e rappresentanti di Cristo. Vorrebbero che la potenza di Dio passasse solo attraverso le loro mani.

    Gesù sorprende i suoi: Chiunque aiuta il mondo a liberarsi e fiorire, è dei nostri. Semini amore, curi le piaghe del mondo, custodisci il creato? Allora sei dei nostri. Sei amico della vita? Allora sei di Cristo. Si può essere uomini e donne di Cristo, senza essere uomini e donne della chiesa, perché il regno di Dio è più vasto della chiesa, non coincide con nessun gruppo. Gli autentici amici di Dio godono della libertà dello Spirito e riconoscono le sue manifestazioni, dovunque avvengano: riconoscono il bene dovunque venga fatto e ne godono. Quando c’è di mezzo il bene, coloro che appartengono alla comunità, hanno il dovere di non impedirlo, anzi … Il “servizio” diventa l’unico criterio per la vera grandezza: chi serve più di tutti è il primo in senso assoluto. Gesù è l’uomo senza barriere, uomo senza confini, il cui progetto è uno solo: voi siete tutti fratelli.

    A volte ci sentiamo frustrati, il male nel mondo sembra troppo forte. Gesù ci dice: porta il tuo bicchiere d’acqua! Se tutti i miliardi di persone portassero il loro bicchiere d’acqua, quale oceano d’amore si stenderebbe a coprire il mondo!

    “Se qualcuno vi darà da bere nel mio nome… perché appartenete a Cristo…” Gesù vede i suoi discepoli  nel futuro, sparsi nel mondo per l’annuncio del Vangelo, stanchi, assetati. Gesù vede persone che, accogliendo i discepoli, pensano di accogliere Lui. Ogni vero credente vive la presenza di Cristo: “Non sono più io che vivo, è Cristo che vive in me”.

    Il vangelo termina con parole dure: “Se la tua mano, il tuo piede ti è motivo di scandalo, tagliali, gettali via…”. E’ il vangelo delle cicatrici, ma che devono diventare luminose, perché le parole di Gesù non sono l’invito ad un’inutile automutilazione, sono invece un linguaggio figurato, incisivo, per trasmettere la serietà con cui si deve pensare alle cose essenziali. Gesù richiama alla propria responsabilità. Il male è annidato dentro di noi. Scopri il tuo mistero d’ombra (esitazioni, compromessi, facili scuse, interessi che imprigionano), e invertilo. Solo per le anime deboli, la colpa è sempre altrove! Spesso l’uomo è scandalo a se stesso. Di fronte a questo scandalo il discepolo è invitato ad un taglio.

       Deve aver cura di non sbagliare la vita, sognare un mondo dove soprattutto le sue mani sanno solo donare e i piedi andare incontro al fratello: un mondo dove fioriscono occhi più luminosi del giorno, dove tutti sono dei nostri, tutti amici della vita, e, proprio per questo, tutti secondo il cuore di Dio. La soluzione non è dunque una mano tagliata, ma una mano convertita, che sa offrire a chiunque il suo bicchiere d’acqua.

  • VUOI ESSERE GRANDE? DIVENTA SERVO DI TUTTI

    VUOI ESSERE GRANDE? DIVENTA SERVO DI TUTTI

    Parrocchia di Fontane
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    Mc 9,30-37

    In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà». Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo.

    Giunsero a Cafàrnao. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande. Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti».

    E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato»

    Il cammino di Gesù porta  verso il compimento del suo destino, della sua missione. Gesù, ora, è tutto assorto nell’educazione dei suoi discepoli, dei suoi amici migliori. Gesù rivela il suo destino: annuncia esplicitamente per la seconda volta la sua Passione. L‘evangelista Marco ce lo presenta come uno dei momenti di crisi tra Gesù e i suoi discepoli. 

    Mentre loro stanno discutendo chi fosse il più bravo, il migliore, Lui rivela il cammino della Croce con le sue conseguenze per il discepolo, chiamato anche lui a farsi servo e ad accogliere i piccoli nel suo nome. 

    I discepoli non ascoltano neppure, si disinteressano della tragedia che incombe sul loro maestro e amico. Sono tutti presi soltanto dalla competizione sulla loro grandezza: sembrano piccoli uomini in carriera! A questa voglia di potere della sua comunità, Gesù suggerisce due modi concreti di seguirlo, due esempi nuovi di imitazione di Lui crocifisso.

    Anche oggi in ognuno di noi: in famiglia, nel gruppo, in parrocchia, sul posto di lavoro, tra ricchi e tra poveri alle porte della chiesa, tra i potenti e gli schiavi, questo protagonismo è il principio che distrugge la vita della comunità. Gesù invita anche noi a imitarlo, contemplandolo Crocifisso: “Se uno vuole essere il primo, si consideri l’ultimo di tutti e si faccia il servo di tutti”. Con Gesù che ha percorso la via della Croce, tutti i criteri della priorità sono capovolti: la dignità di una persona non sta nel posto che occupa, nel lavoro che svolge, nelle cose che possiede, nel successo che ottiene: la grandezza si misura unicamente sullo spirito di servizio. 

    Servire: verbo dolce e pauroso insieme, perché pensiamo che la gioia sia prendere, accumulare, comandare, non certo essere servi! I discepoli non capiscono che la passione è un servizio, un donare la vita per gli altri. E’ il capovolgimento dei valori. Il discepolo non può mai essere orientato su se stesso, ma verso il bene dell’altro. Il “servizio” diventa l’unico criterio per la vera grandezza. L’autorità, secondo il vangelo, discende solo dal servizio.

    Inoltre i discepoli non capiscono il “dopo tre giorni risorgerò”: l’agire di Dio non finisce mai nella morte, ma termina sempre nella vita. Nella spaccatura di questa distanza subentra l’angoscia che rende muti. Solo la Pasqua renderà i discepoli disponibili. E noi siamo disponibili? Ci lasciamo coinvolgere ed educare?

    Prese un bambino. Attraverso l’abbraccio e un bambino, Gesù continua ancora ad educare. Tutto il vangelo è un abbraccio: è il racconto della tenerezza di Dio, che mette al centro i piccoli, quelli che non ce la possono fare da soli. Chi accoglie un bambino, accoglie Gesù. Il bambino è immagine di Gesù. Il Re dei re. Il Creatore, l’Eterno, come un bambino!.

    Accoglienza: il nome nuovo della civiltà. Accogliere o respingere i disperati, i piccoli, che siano alle frontiere o alla porta di casa nostra, è considerato accogliere o respingere Dio stesso.

    I bambini non sono più buoni degli adulti. Sono egocentrici, impulsivi e istintivi, a volte persino spietati, ma sono maestri nell’arte della fiducia e dello stupore. Sanno vivere come i “gigli del campo e gli uccelli del cielo”, pronti al sorriso, quando non hanno smesso di asciugarsi le lacrime, perché si fidano totalmente del padre e della madre. Il bambino non basta a se stesso e vive solo se è amato: riceve tutto e può dare poco, forte non della propria forza, ma di quella con cui lo sollevano le braccia del padre. La sua debolezza è la sua forza. Diventare bambini è ritrovare lo stupore di essere figli: figli piccolini, la cui forza è Dio Padre. Viviamo da bambini, immagine di Dio, quando anche noi ci facciamo prendere in braccio da Dio. Il modello di questa vita di fede è Maria che ha accolto Dio nel bambino Gesù. Così noi, quando accogliamo un bambino, un disperato, stringiamo nelle braccia il Signore. Accogliamo gli altri, come Dio accoglie noi, portando la vera gioia nella loro esistenza. La Chiesa o è accogliente, o non è Chiesa

  • CHI SONO IO PER TE? GESÙ NON CERCA PAROLE, MA PERSONE

    CHI SONO IO PER TE? GESÙ NON CERCA PAROLE, MA PERSONE

    Parrocchia di Fontane
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    CHI SONO IO PER TE? GESÙ NON CERCA PAROLE, MA PERSONE
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    Mc 8,27-35.

    In quel tempo, Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo, e per la strada interrogava i suoi discepoli dicendo: «La gente, chi dice che io sia?». Ed essi gli risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elìa e altri uno dei profeti».

    Ed egli domandava loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro gli rispose: «Tu sei il Cristo». E ordinò loro severamente di non parlare di lui ad alcuno.

    E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto, ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere.

    Faceva questo discorso apertamente. Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo. Ma egli, voltatosi e guardando i suoi discepoli, rimproverò Pietro e disse: «Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini».

    Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà».   

    Gesù si trovava in un luogo solitario a pregare insieme con i discepoli. Un momento di intimità tra loro e con Dio. Sono le ore speciali della vita in cui l’amore si fa come tangibile. In questo momento importante Gesù pone una domanda decisiva da cui dipenderà tutta la vita. Attraverso le domande Gesù vuol far crescere i suoi amici. Vuole che non si accontentino di una fede “per sentito dire”, per tradizione.

    “Ma voi”, quasi in opposizione a ciò che dice la gente. Voi che avete abbandonato le barche, che avete camminato con me per tre anni, chi sono io per voi? Cosa vi è successo quando mi avete incontrato? Gesù non cerca parole, ma persone. Gesù non ha bisogno dell’opinione di Pietro per avere informazioni, per sapere se è più bravo dei profeti di prima, ma per sapere se Pietro è innamorato, se gli ha aperto il cuore. Cristo è vivo, solo se è vivo dentro di noi. Cristo non è ciò che dico di Lui, ma ciò che vivo di Lui. Ognuno è chiamato a dare la sua risposta.

    Questo brano evangelico è al centro di tutto il Vangelo di Marco: conclude la prima parte e apre la seconda. La risposta di Pietro è precisa e riconosce con chiarezza che Gesù è il Cristo, il Messia atteso che libera dal peccato, dal male. C’è però un passo ulteriore da fare: c’è sempre il pericolo di pensarlo Messia, secondo il pensiero degli uomini. Vediamo come Pietro, mentre nella prima parte assolve il compito positivo, come portaparola dei discepoli, esprimendo, a nome del gruppo, la sua fede in Gesù, subito dopo assume un ruolo negativo: tenta di allontanare Gesù dalla via della Croce. E’ pronto a riconoscerlo Messia, ma non ne condivide la direzione, la modalità concreta di realizzarla. Sta qui lo spartiacque tra fede e non fede, tra mentalità cristiana e mentalità mondana.

    Gesù smaschera questa sottile tentazione di Satana che vuole separare il Messia dal Crocifisso. Poi si rivolge alla folla e con molta chiarezza, propone loro il suo stesso cammino. Non ci sono due vie, una per Gesù e una per la Chiesa, ma una sola: “Chi vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso e prenda la sua croce”.

    Di fronte a Cristo che insegna che il Messia deve soffrire molto e risorgere, Pietro si ribella, come anche noi ci ribelliamo. Ci seduce, Gesù guaritore, camminatore, accogliente, amico di tutti, ma la Croce! La croce è l’impensabile di Dio. Pensiamolo durante l’ultima cena: Gesù, il mio “lavapiedi” in ginocchio davanti a me. Le sue mani sui miei piedi: un messia non può fare così. E Gesù insiste: io sono come lo schiavo che ti aspetta, e al tuo ritorno ti lava i piedi. Ha ragione Paolo quando dice che il cristianesimo è scandalo e follia. Gesù non spezza nessuno, spezza se stesso; non versa il sangue di nessuno, versa il proprio sangue. Tutto però porta all’appuntamento di Pasqua, quando ci cattura tutti dentro il suo risorgere, trascinandoci in alto.

    Il giusto, con la sua maniera di vivere, dà fastidio, deve quindi essere eliminato. Il volere di Dio però non è morte, ma vita. Gesù vive la speranza di chi confida nel Signore: ed è questa speranza che vuole comunicare a Pietro. Lo rimprovera e lo invita a prendere il posto di discepolo, a seguire la strada tracciata dal Maestro. Come con Pietro, così con noi, Gesù ci mette di fronte ad una libera scelta.

    Ordinò loro di non dirlo a nessuno. Gesù invita a non dire che è il Messia. Prima di poterlo annunziare, bisogna percorrere l’intero cammino di sequela. Gli apostoli non hanno visto la cosa decisiva: il Figlio dell’uomo che soffre molto, viene ucciso e dopo tre giorni risorge. L’appuntamento è l’uomo in Croce.