Autore: Alessandra Giorgi

  • DIO CI GUARISCE PERCHÉ’ CI APRIAMO A LUI E AGLI ALTRI

    DIO CI GUARISCE PERCHÉ’ CI APRIAMO A LUI E AGLI ALTRI

    Parrocchia di Fontane
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    DIO CI GUARISCE PERCHÉ’ CI APRIAMO A LUI E AGLI ALTRI
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    Mc 7,31-37

    In quel tempo, Gesù, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidòne, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli.

    Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!». E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente.

    E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!».    

    Il viaggio di Gesù in terra pagana ci è presentato dall’evangelista Marco in maniera molto significativa: Gesù, con una lunga deviazione, sceglie un itinerario che congiunge città e territori estranei alla tradizione religiosa d’Israele (Galilea – Tiro – Sidone – Decapoli…), alla ricerca di quella parte comune ad ogni uomo che viene prima di ogni divisione politica, culturale, religiosa, razziale. Gesù è davvero l’uomo senza confini e invita a considerare patria ogni terra straniera.

    Gli portarono un sordomuto. Un uomo imprigionato nel silenzio, una vita chiusa, ma “portato” da una piccola comunità di persone che gli vogliono bene, a quel maestro straniero, Gesù, ma per il quale ogni terra straniera è patria.

    E pregarono di imporgli la mano. Gesù però fa molto di più di ciò che gli è chiesto. Gesù si rivela come il Messia atteso che realizza le parole dei profeti: “griderà di gioia la lingua del muto…”. Gesù lo prende in disparte, lontano dalla folla, perché ora conta solo quell’uomo colpito dalla vita. E’ la prima azione: Gesù e l’uomo soli: occhi negli occhi che iniziano a comunicare tra loro. Gesù prende quel volto tra le sue mani: l’uomo non è più un emarginato anonimo, ma ora è il preferito, e il maestro è tutto per lui. Iniziano a comunicare così: senza parole, ma con gesti molto corporei e delicati. Con la saliva toccò la la sua lingua: ti do qualcosa di mio, di vitale, insieme al respiro e alla parola, simboli dello Spirito.  

    Gesù pone le dita negli orecchi del sordo, entra in un rapporto corporeo, come un medico capace e umano, si rivolge alle parti deboli, tocca quelle sofferenti.

    Gesù è teso verso il cielo, emettendo un sospiro: è il respiro di speranza calmo e umile, il sospiro del prigioniero che attende la libertà. I gesti di Gesù vogliono produrre quella salvezza che è dono del cielo, dono di Dio.  

    Dice: “Effatà”: apriti!, in aramaico, nel dialetto di casa, nella lingua del cuore, quasi soffiando l’alito della creazione. Apriti agli altri e a Dio: Le tue ferite di prima diventino feritoie attraverso le quali entra ed esce la vita. Prima gli orecchi, perché sa parlare solo chi sa ascoltare. Gesù guarisce per creare uomini liberi. Effatà: esci dalla tua solitudine, dove ti pare di essere al sicuro, e che invece non solo è pericolosa, ma anche mortale.

    Il racconto della guarigione del sordomuto non è semplice racconto di un miracolo, bensì un segno che contiene quello che Gesù vorrebbe operare in ogni suo discepolo che ha un nodo in cuore, un nodo in gola: una umanità infantile e immatura che non sa ascoltare e non sa dialogare. 

    “Sordo” infatti ha la stessa radice di “assurdo”. Entra nell’assurdo chi non sa ascoltare Dio e gli altri e lascia andare a vuoto tutte le loro parole.

    Vivere è percorrere la stessa avventura del sordomuto: dal silenzio alla parola. Ognuno di noi è una persona che non sa parlare, non sa ascoltare. Pensiamo alle sordità presenti in noi che ascoltiamo senza partecipazione. Pensiamo alla nostra lingua annodata, all’insignificanza dei nostri messaggi e delle nostre parole! Non sappiamo ascoltare chi è appena fuori del nostro spazio vitale: dall’ambito della famiglia o dalle amicizie. Spesso ascoltiamo distrattamente, “a mezzo orecchio”, sperando solo che l’altro finisca in fretta, perché abbiamo cose più intelligenti da dire, osservazioni più acute, idee più importanti. “Chi non sa ascoltare il proprio fratello, presto non saprà neppure ascoltare Dio, sarà sempre lui a parlare, anche con il Signore” (Bonhoffer).

    In quante famiglie si parla tra sordi. Chi non sa ascoltare perderà la parola, perché parlerà senza toccare il cuore dell’altro. Guariremo tutti dalla povertà della parola solo quando ci sarà donato un cuore che ascolta. E’ ciò che ha fatto e continua a fare Gesù. E’ ciò che, nella comunità, Gesù continua a fare con noi dal giorno del nostro battesimo: ci tocca in ogni gioia e prova, ci tocca in ogni fratello che ci viene incontro. Ci restituisce il dono di ascoltare e parlare: la capacità di comunicare, la forza di bruciare le ipocrisie, perché viviamo il gusto dell’amicizia. 

    Continuamente ci dice: “Effatà”: esci dal tuo nodo di silenzi e di paure, accogli la vita, apri le tue porte a Cristo. Accogliamo questo gesto di salvezza che il Signore vuole realizzare anche con noi.  

      

  • IL CUORE DI PIETRA, LA MALATTIA MENO DIAGNOSTICATA

    IL CUORE DI PIETRA, LA MALATTIA MENO DIAGNOSTICATA

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    IL CUORE DI PIETRA, LA MALATTIA MENO DIAGNOSTICATA
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    Mc 7,1-8.14-15.21-23.

    In quel tempo, si riunirono attorno a Gesù i farisei e alcuni degli scribi, venuti da Gerusalemme.

    Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani impure, cioè non lavate – i farisei infatti e tutti i Giudei non mangiano se non si sono lavati accuratamente le mani, attenendosi alla tradizione degli antichi e, tornando dal mercato, non mangiano senza aver fatto le abluzioni, e osservano molte altre cose per tradizione, come lavature di bicchieri, di stoviglie, di oggetti di rame e di letti –, quei farisei e scribi lo interrogarono: «Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?».

    Ed egli rispose loro: «Bene ha profetato Isaia di voi, ipocriti, come sta scritto:

    “Questo popolo mi onora con le labbra,
    ma il suo cuore è lontano da me.
    Invano mi rendono culto,
    insegnando dottrine che sono precetti di uomini”.

    Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini».

    Chiamata di nuovo la folla, diceva loro: «Ascoltatemi tutti e comprendete bene! Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro». E diceva [ai suoi discepoli]: «Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo».

    Diversi sono gli interlocutori a cui si rivolge Gesù, dialogando sulle tradizioni del popolo d’Israele e la legge di Dio.

    Dapprima sono i farisei, poi la folla, infine i discepoli. Questo cambiamento di interlocutori vuole significare che le parole di Gesù sono un insegnamento per chiunque, in particolare per la comunità cristiana. Anzi più di un insegnamento, in quanto sottolineano la cecità e la non intelligenza degli stessi discepoli nel guardare il loro modo di vivere. Diventano così un avvertimento anche per noi.

    Gesù stava incontrando le persone là dov’erano e attraversava con loro i territori della malattia e della sofferenza: dove giungeva, in villaggi o città o campagne, gli portavano i malati e lo supplicavano di poter toccare almeno il lembo del suo mantello. E quanti lo toccavano venivano salvati. Gesù stava vivendo questa esperienza, portando negli occhi il dolore dei corpi e delle anime, e insieme l’esultanza incontenibile dei guariti. Ora, farisei e scribi lo provocano su delle piccolezze: mani non lavate, lavature di stoviglie …

    La replica di Gesù è decisa e insieme piena di sofferenza: ipocriti! Il vero credente va da Gesù per ascoltarlo, non fermandosi ad una religiosità di pratiche esteriori. Per Gesù la vera religione inizia con l’analisi del cuore, una religiosità che guarda l’interiorità. Per Gesù, il vero peccato è il rifiuto di partecipare al dolore dell’altro, è l’ipocrisia di un rapporto solo esteriore con Dio. La malattia che Gesù più teme e combatte è il cuore di pietra, il cuore lontano, insensibile alla vita degli altri.

    Ci può essere addirittura un culto che abolisce l’osservanza della legge di Dio (così facevano gli addetti al culto del tempio: sottraevano il necessario da dare ai genitori anziani, bisognosi di aiuto, del necessario per vivere, per accaparrarselo nel loro servizio al tempio). Le molte tradizioni facevano perdere di vista l’essenziale.

    Gesù scardina soprattutto ogni pregiudizio circa il puro e l’impuro, così duro a morire. Afferma innanzitutto che ogni cosa è pura: il cielo, la terra, ogni cibo, il corpo dell’uomo e della donna. Come è scritto: ”Dio vide e tutto era cosa buona”. Gesù attribuisce al cuore, e solo al cuore, la possibilità di rendere pure o impure le cose, di sporcarle o illuminarle. 

    La purificazione che Gesù domanda è quella di non fermarsi a curare l’esterno, dimenticando l’interno. Si corre il rischio di combattere il male dove non c’è per evitare di cercarlo là dove veramente esso si annida, cioè dentro di noi.

    Non è ciò che entra nell’uomo che lo contamina, ma ciò che esce dal cuore. Gesù invita a custodire con cura il cuore perché è la fonte della vita. Il cuore è il luogo delle decisioni, dove avviene la scelta tra il bene il male, tra Dio e noi stessi. Il primo dovere dell’uomo è tenere in ordine il cuore. Il Vangelo diventa così come una boccata d’aria fresca dentro l’afa in tanti discorsi pieni delle solite parole.

    Bisogna però guardare con attenzione il cuore, perché dentro ci troviamo di tutto, anche delle cose delle quali ci vergogniamo. Il Vangelo presenta un elenco impressionante di dodici cose che rendono impura la vita: “prostituzione, furti, omicidi, adulteri, cupidigia, inganno, invidia, calunnia, superbia, stupidità”. Dentro di noi ci sono radici di veleno e frutti di luce, campi seminati di buon grano ed erbe malate, oceani che minacciano la vita o la generano. Qui sta tutta l’arte di coltivare il cuore.

    Fondamentale è guardarci dentro con lo sguardo di Gesù che ha la forza di trasformare (Maria Maddalena, l’adultera, Pietro…) Allora un vento creatore ci rigenera, apre cammini nuovi, perché con Cristo si torna al cuore felice della vita. Altrimenti, vivendo lontani da Dio o addirittura nel suo disprezzo (stoltezza), costruiremo un mondo di divisione e morte.

    Non dimentichiamo che il male è dentro di noi, che abbiamo bisogno di essere guariti dentro per essere liberi, disponibili a Dio. Il silenzio è indispensabile per ascoltare Dio e lasciare che la sua Parola ci trasformi. E’ con il cuore che si decide di vivere secondo Dio: un’esistenza capace di mandare ovunque segnali di vita.

  • GESÙ MAESTRO DI LIBERTÀ’, NON DI IMPOSIZIONI

    GESÙ MAESTRO DI LIBERTÀ’, NON DI IMPOSIZIONI

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    GESÙ MAESTRO DI LIBERTÀ’, NON DI IMPOSIZIONI
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    Gv 6,60-69

    In quel tempo, molti dei discepoli di Gesù, dopo aver ascoltato, dissero: «Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?».

    Gesù, sapendo dentro di sé che i suoi discepoli mormoravano riguardo a questo, disse loro: «Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dov’era prima? È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che io vi ho detto sono spirito e sono vita. Ma tra voi vi sono alcuni che non credono».

    Gesù infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che lo avrebbe tradito. E diceva: «Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre».

    Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui.

    Disse allora Gesù ai Dodici: «Volete andarvene anche voi?». Gli rispose Simon Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio».

    Giovanni riporta la cronaca di una crisi drammatica che non coinvolge più solo la folla dei Giudei, ma anche la cerchia dei discepoli. Succede a Cafarnao, teatro di tanti miracoli e insegnamenti di Gesù. Molti dei suoi discepoli si tirano indietro e non vanno più con Gesù. Quanto fu difficile, subito dopo la Pasqua, superare lo scandalo della croce e vedere in Gesù rifiutato dal suo popolo il Figlio di Dio. 

    Il motivo dell’abbandono è la Parola di Gesù che si presenta: “Io sono il pane disceso dal cielo”. La comunità è invitata a credere in Lui, Figlio di Dio, inviato dal Padre. Solo chi sta in ascolto del Padre, si lascia istruire da Gesù, il Padre lo fa incontrare con Gesù, il Figlio. Gesù, Pane di vita, sarà pane nella sua totale debolezza, quando si donerà per la vita del mondo. Sarà la sua morte e resurrezione che aprirà agli uomini la via della vita: una comunione con Gesù e il Padre: una vita eterna.  Gesù poi parla dell’assoluta necessità di mangiare la sua carne e di bere il suo sangue per avere la vita divina e risuscitare nell’ultimo giorno. Si presenta come l’unico Salvatore: l’uomo per salvarsi deve totalmente essere alimentato e trasformato da Lui. “Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo. Chi mangia… rimane in me e io in lui”. Attraverso il suo sacrificio e la sua morte, Lui diventerà per tutta l’umanità, sorgente di vita. Mangiare e bere Cristo significa essere in comunione con il suo segreto vitale: l’amore. Cristo possiede il segreto della vita che non muore (“vita eterna”) e vuole trasmetterlo a noi. Lui si è fatto uomo, perché l’uomo si faccia come Dio. Un pezzo di Dio entra in noi, perché diventiamo un pezzo di Dio nel mondo.

       Gesù chiama a capovolgere l’immagine di Dio: è un Dio che si fa piccolo come un pezzo di pane, che ama l’umiltà del pane e il suo silenzio e il suo scomparire. Un Dio capovolto. Gesù si accorge che la sua comunità fa fatica a comprendere il senso del fallimento. Non si accetta che la salvezza sia portata dal figlio del falegname, soprattutto non si accetta la necessità di condividere la sua esistenza in dono. L’uomo fa fatica riconoscere che non può ottenere la vita da se stesso. Soltanto se rinuncia alla pretesa di fare da sé e riconosce la sua povertà, l’uomo si pone nella condizione di aprirsi alle parole di Gesù. Dio vuole che la vita di Gesù, totalmente donata, sia anche totalmente dell’uomo. Bisogna passare dall’ascolto allo spezzare insieme il pane per accogliere totalmente Gesù, “donato fino alla morte”, ma vivo.

    “Chi mangia la mia carne vivrà in eterno”. Per otto volte Gesù insiste sul perché del mangiare la sua carne: per vivere davvero. E’ incalzante la certezza da parte di Gesù di possedere il segreto che cambia la direzione, il senso, il sapore della vita. Si tratta di una vita come quella di Gesù, capace di amare, come nessuno ha mai amato. Gesù invita a nutrirsi del suo modo di vivere, come un bimbo che è ancora nel grembo della madre e si nutre del suo sangue. Non dimentichiamo che la vita eterna non è una specie di Tfr (Trattamento di fine rapporto), la liquidazione finale che accumulo con il il mio buon comportamento. La vita eterna è già cominciata, è una vita diversa, vera, giusta, una vita come quella di Gesù, buona, bella e beata.

    Gesù non fornisce regole e divieti da osservare, ma il segreto, la chiave per far fiorire la vita in tutte le sue forme, gustarla appieno è vivere come Lui ha vissuto. Gesù fa appello alla libertà di ogni discepolo: sei libero, puoi andare o restare, io non costringo nessuno. Ora è però il momento di decidersi: diventare ricercatori di vita mai rassegnati.

    A nome nostro Pietro risponde:Tu solo hai parole che fanno vivere”. Tu solo sai annunciare cose che aprono squarci di speranza immensa, che fanno viva, finalmente, la vita. Pietro riconosce Gesù come l’inviato di Dio, il vero e definitivo rivelatore di Dio, colui che solo può dare la vita eterna.

    Ma a noi, la vita eterna interessa?  Il salmo responsoriale 33: “c’è qualcuno che desidera la vita? C’è qualcuno che vuole lunghi giorni felici per gustarli?”.

    Pietro risponde: “Io, Signore, voglio vivere, voglio vita per sempre. Voglio vivere la meraviglia di chi, spezzando la conchiglia, trova la perla preziosa. Dio vuole liberarci dalla morte, dall’insignificanza, dall’inutilità della vita. Noi, purtroppo, cerchiamo di eliminare questa riflessione: lo scandalo, la durezza di vivere il vangelo: preferiamo la mediocrità. Abbiamo cancellato le pagine più impegnative del Vangelo, abbiamo annacquato il vino: abbiamo addomesticato il Vangelo.

     Gesù ci invita oggi a riflettere: fa appello alla nostra libertà, non ci costringe. Ci dice che ora è però il momento di decidersi. Se l’accogliamo, attorno a noi ricomincia la vita, vivremo la gioia di viverla come l’ha vissuta Lui.

    Come Pietro, pronunciamo anche noi la nostra dichiarazione di amore: vogliamo vivere e solo tu hai parole che fanno viva, finalmente, la vita.

  • ASSUNTA: SIAMO GERMOGLI DI LUCE NEL MONDO

    ASSUNTA: SIAMO GERMOGLI DI LUCE NEL MONDO

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    Lc 1, 39-56

    In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda.

    Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo.

    Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».

    Allora Maria disse:

    «L’anima mia magnifica il Signore

    e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore,

    perché ha guardato l’umiltà della sua serva.

    D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.

    Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente

    e Santo è il suo nome;

    di generazione in generazione la sua misericordia

    per quelli che lo temono.

    Ha spiegato la potenza del suo braccio,

    ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;

    ha rovesciato i potenti dai troni,

    ha innalzato gli umili;

    ha ricolmato di beni gli affamati,

    ha rimandato i ricchi a mani vuote.

    Ha soccorso Israele, suo servo,

    ricordandosi della sua misericordia,

    come aveva detto ai nostri padri,

    per Abramo e la sua discendenza, per sempre».

    Maria rimase con lei circa tre mesi, poi tornò a casa sua.

    L’assunzione di Maria in cielo in anima e corpo è l’icona del nostro futuro, anticipazione di un comune destino: annuncia che l’anima è santa, ma che il creatore non spreca le sue meraviglie: anche il corpo è santo e avrà, trasfigurato, lo stesso destino dell’anima. Perché l’uomo è uno. Il corpo dell’uomo, che è un tessuto di prodigi, avrà, trasfigurato, lo stesso destino dell’anima, e Dio occuperà cuore e corpo e “sarà tutto in tutti” (Col.3,11). Questo corpo, in cui sentiamo la densità della gioia, in cui soffriamo la profondità del dolore, diventerà, nell’ultimo giorno, porta aperta alla comunione, trasparenza di cristallo, sacramento dell’incontro perfetto.

    Il segno  della donna nel cielo, evoca certo Maria, ma anche l’intera umanità, la Chiesa di Dio, ciascuno di noi. Le verità che riguardano Maria sono l’alfabeto della nostra vita. C’è una comune vocazione: assorbire la luce, farcene custodi, essere nella vita datori di vita. La festa dell’Assunta ci chiama ad aver fede nell’esito buono, positivo della storia: la terra è incinta di vita e non finirà fra le spirali della violenza; il futuro è minacciato, ma la bellezza della vita della Donna sono più forti della violenza di qualsiasi drago.

    Maria è la sorella che è andata avanti: il suo destino è il nostro, e già da ora. La nostra vocazione è essere nella vita, datori di vita. Essere creature solari, generanti vita, in lotta contro il male. Chiamati a mandare segnali di vita attorno a noi, a non arrenderci mai. La donna dell’Apocalisse non traccia i privilegi che riguardano solo Maria, ma l’intera umanità incamminata verso la luce. Maria è l’anticipo, il collaudo, la caparra di ciò che avverrà per ciascuno di noi. Anche noi innalzati, per una forza divina di gravità che ci attira verso l’alto, anche noi sollevati verso Dio, avremo un giorno corpi di luce. Nel cielo futuro splende la bellezza di volti e di corpi. Questo corpo, così fragile, in cui sentiamo la densità dell’amore, in cui soffriamo la profondità del dolore, diventerà nell’ultimo giorno, varco spalancato per la comunione con Dio e con i fratelli.

    Il Vangelo presenta come protagoniste due donne, con un mistero di Dio presente nel loro grembo: due madri che profetizzano. Elisabetta prolunga il giuramento di Dio che nella creazione benedice Adamo ed Eva, e lo estende da Maria ad ogni donna, ad ogni creatura. Che possiamo anche noi proclamare questa benedizione a chi arriva nelle nostre case: “Dio mi benedice con la tua presenza, possa benedirti con la mia presenza”.

    “Maria si mise in viaggio in fretta verso la montagna”. Maria è la donna del viaggio compiuto in fretta, perché l’amore ha sempre fretta, non sopporta ritardi. Donna in viaggio, figura di chi cammina verso un mondo nuovo sulle tracce di Dio. Donna in viaggio verso altri: Maria non si è mai ritagliata uno spazio da riservare a sé, ma va continuamente verso altri. Donna in viaggio da casa in casa, che lascia la casa di Nazaret e va da Elisabetta, agli sposi a Cana, a Cafarnao…

    Anche noi siamo umanità incamminata verso la vita, umanità fragile, che non si arrende e sempre incamminata, che ama con la stessa intensità il cielo e la terra. L’assunta è allora la festa della nostra comune migrazione verso la vita. Siamo germogli di luce nel mondo.

    Il magnificat è il canto della speranza dei piccoli. Che bello questo Dio che pensa in grande per noi! Ci chiama a pensare in grande di tutte le persone! E anche di noi stessi. Il magnificat deve diventare il nostro canto di ringraziamento, in quanto vediamo continuamente il Signore piegarsi su tutti gli uomini e tutte le donne, umili creature, e assumerli con sé nel cielo per divenire per sempre suoi familiari.

    Chiediamo al Signore di essere come Maria, creature sempre incamminate, caduti ma incamminati, peccatori ma incamminati verso una vita che non conoscerà tramonto. 

  • L’UNICO PANE CHE DA’ LA VITA E’ QUELLO DISCESO DAL CIELO

    L’UNICO PANE CHE DA’ LA VITA E’ QUELLO DISCESO DAL CIELO

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    Gv 6,41-51

    In quel tempo, i Giudei si misero a mormorare contro Gesù perché aveva detto: «Io sono il pane disceso dal cielo». E dicevano: «Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui non conosciamo il padre e la madre? Come dunque può dire: “Sono disceso dal cielo”?».

    Gesù rispose loro: «Non mormorate tra voi. Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Sta scritto nei profeti: “E tutti saranno istruiti da Dio”. Chiunque ha ascoltato il Padre e ha imparato da lui, viene a me. Non perché qualcuno abbia visto il Padre; solo colui che viene da Dio ha visto il Padre. In verità, in verità io vi dico: chi crede ha la vita eterna.

    Io sono il pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia.

    Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».

    La storia di Elia ci aiuta ad interpretare il Vangelo di questa domenica: ci annuncia che Dio stesso si fa pane e vicinanza, angelo e carezza per noi, perché non ci arrendiamo, profeti troppe volte stanchi, al deserto che ci assedia. Elia, il più grande dei profeti, vuole morire. E’ stanco e scoraggiato, così stanco e disperato che dice: ora basta, Signore, prenditi la mia vita. Quante volte lo scoraggiamento ci ha fatto dire: non ce la faccio più, non serve a niente essere buoni, non cambia nulla, non vale la pena di vivere il Vangelo. Un angelo gli porta pane e acqua: queste cose quotidiane risvegliano le sue forze e gli restituiscono la sua dignità e la sua libertà. Ritorna così la voglia di camminare e di ricominciare

    Io sono il pane vivo disceso dal cielo. Il mistero di Gesù e la sua storia sono espressi per immagini: pane, vivo, discesa, cielo. Quattro parole che non spiegano il mistero, ma lo fanno vibrare nella vita: mistero gioioso da godere e da assaporare. Il pane è simbolo di tutto ciò che è buono per noi e ci mantiene in vita.

    Era normale che i contemporanei di Gesù di Nazaret, lo ritenessero di origine puramente umana. Come può uno noto a tutti come figlio di Giuseppe e Maria, pretendere di essere piovuto dal cielo! Non riescono a convincersi dell’origine divina di Gesù. Protestano, mormorando: tu vuoi cambiarci la vita, facendo quello che fa il pane, che scompare nell’intimo del nostro corpo. Dio, se è veramente onnipotente, dovrebbe fare ben altro: miracoli potenti ed evidenti!

    Nel libro dell’esodo, si racconta che Mosè chiese a Dio di vedere il suo volto, ma gli fu concesso di vedere il Signore di striscio, non faccia a faccia. Gesù invece contempla continuamente e direttamente il volto del Padre. Gesù – e solo Gesù – è il “pane”, cioè la rivelazione, la Parola e la sapienza di cui l’uomo ha fame. Il popolo ebreo attendeva il dono abbondante della manna, Gesù afferma che è Lui che porta a compimento questa attesa.

    Non mormorate tra voi… Non sprecate parole a discutere di Dio, tuffatevi invece nel suo mistero. Il cammino della fede è questo: penetrare continuamente nel mistero della persona di Gesù. E’ un pane che discende dal cielo verso di noi, adesso, in questo momento, continuamente.

    Il movimento decisivo della storia è discendente. L’origine della fede in Cristo è l’iniziativa del Padre che vuole che tutti gli uomini si incontrino con il suo Figlio Gesù, inviato a rivelarci definitivamente il suo amore, diventando così sorgente di vita per tutti. Nessuno può arrivare a Gesù, se il Padre non lo attira. Non si diventa cristiani se non per questa attrazione. Nessuno può far sorgere dentro di sé il movimento della fede, senza la chiamata del Padre. 

    A noi è chiesta la docilità nell’ascoltare e nel lasciarsi istruire. Noi possiamo scegliere di non prenderlo come cibo, Lui però discende instancabilmente, ci avvolge di forze, e nutre la parte più bella di vita. Si dà e scompare. Gesù, il pane che mangiamo, ci fa vivere. Allora viviamo di Dio, mangiamo la sua vita, sogniamo i suoi sogni, preferiamo quello che Lui preferiva. 

    Subito sorge una domanda: di che cosa ci nutriamo, di quali pensieri? Stiamo mangiando generosità, bellezza, o ci nutriamo di egoismo, intolleranza, paure…? Se accogliamo pensieri degradati, questi ci fanno come loro. Se accogliamo pensieri di vangelo e di bellezza, questi ci trasformano in custodi della bellezza e della tenerezza: in pane che salverà il mondo.

    Dio in noi: il nostro cuore lo assorbe, lui assorbe il nostro cuore, e diventiamo una cosa sola. Questo è il senso di tutta la storia: portare cielo nella terra, Dio nell’uomo, vita immensa in questa piccola vita.

    Noi non siamo ancora e non saremo mai Il Cristo, ma siamo questa infinita possibilità. Non basterà questa vita, ma Lui ha promesso. Cominciamo, uniti a Gesù, a essere angeli, pane e acqua, – come nel racconto di Elia – a diventare per gli altri: carezza, compagnia nel deserto e oltre il deserto fino al monte di Dio.

  • IL SIGNORE E’ IL PANE CHE NUTRE L’ESISTENZA SENZA FINE

    IL SIGNORE E’ IL PANE CHE NUTRE L’ESISTENZA SENZA FINE

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    IL SIGNORE E’ IL PANE CHE NUTRE L’ESISTENZA SENZA FINE
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    Gv 6, 24-35

    In quel tempo, quando la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafàrnao alla ricerca di Gesù. Lo trovarono di là dal mare e gli dissero: «Rabbì, quando sei venuto qua?».

    Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo».

    Gli dissero allora: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?». Gesù rispose loro: «Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato».

    Allora gli dissero: «Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo? Quale opera fai? I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: “Diede loro da mangiare un pane dal cielo”». Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero. Infatti il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo».

    Allora gli dissero: «Signore, dacci sempre questo pane». Gesù rispose loro: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!».

    Mentre Gesù è sul monte tutto solo per evitare una regalità che per Lui non aveva senso, i discepoli, disorientati, lasciano la folla, s’imbarcano e decidono di tornarsene a Cafarnao, anche se è notte e il mare agitato. Vivono un momento di crisi e sembrano ritornare ad un mondo senza Gesù. Gesù viene però incontro ai discepoli, li rassicura, non annulla le difficoltà, ma aiuta a superarle, e così, con la sua presenza, possono raggiungere un porto sicuro: Cafarnao.

    Ora  è la gente che cerca Gesù, lo insegue sull’altra riva del lago, che si riempie di barche e di illusioni. Gesù aiuta le persone a vagliare i motivi di questa ricerca. Domenica scorsa il vangelo ci presentava Gesù che distribuiva il pane, oggi si distribuisce Lui stesso come pane, come un pane che si distrugge per dare vita. Gesù vuole svegliare le persone per saziare un’altra fame, vuole che cerchino un pane diverso. Immaginiamo di essere noi, comunità cristiana sempre in ricerca, coloro che oggi si mettono ad ascoltare Gesù.

    Gesù vuole aiutarci a superare la banalità della vita quotidiana, perché cerchiamo sempre quel che è essenziale e porta in alto. La folla si era fermata sul segno prodigioso del pane. Ma un Messia che risolve la materialità della vita, i problemi di quaggiù, non è per Gesù sufficiente. Gesù mette a confronto due cibi: uno che perisce, uno che è sorgente di vita eterna. La gente, imbevuta di mentalità legalista, pensa al “compiere le opere”, non alla fede in Lui, l’inviato del Padre. Non siamo come al tempo di Mosè, con il dono della manna, che però non aveva eliminato la morte delle persone, Lui, Gesù, è il vero pane che viene dal cielo, ed è sorgente di vita per tutti. La sua persona è sorgente della vera vita definitiva. Non è possibile avere questa vita senza Gesù.

    E’ questo il centro del messaggio di tutta la Bibbia: il progetto di Dio è quello di rendere l’uomo capace di fare quello che Lui fa, di agire come Lui agisce, di comportarsi come Gesù ha mostrato e come si è comportato. Per questo non ci dona delle cose, ma se stesso, e così ci dà tutto. Dalle mani di Gesù fluisce una vita illuminata e inarrestabile. Ci chiama ad essere come Lui: nella vita, datori di vita. La pienezza della vita è un pezzo di Dio in noi. L’uomo è l’unica creatura che ha Dio nel sangue e nel respiro. C’è in noi una vita che è istinto di conservazione e una che è istinto di dono. Vita di terra e vita di cielo intrecciate fra di loro. Gesù è colui che nutre di cielo la porzione di eternità, che la mano viva del Creatore continua a seminare in noi.

    La nostra fede corre il pericolo di essere illusoria, quando amiamo i favori di Dio, più che Dio stesso. Amo i doni che attendo, più che il Donatore. La gente ricorda a Gesù che Mosè ha dato la manna al popolo d’Israele. Gesù precisa che è Dio che ha fatto quel dono e che ancora dà. Dio non chiede, Dio dà. Dio non pretende, Dio offre, Dio non esige nulla, Dio dona tutto. Dio dà la vita al mondo. Dà per primo, senza pretendere niente in cambio, dà in perdita. Dio dà continuamente vita.

    “Io sono il pane della vita”. Io nutro. Non dono cose, ma dono me stesso. Gesù entra in noi e fa scorrere la nostra vita vita verso l’eterno: “chi mangia non avrà fame, chi crede non avrà sete, mai!”. L’uomo nasce affamato, ed è la sua fortuna. A noi spetta aprirci, accogliere, dire di sì, acconsentire, credere. Al cuore della fede sta la fiducia in Dio, che ha il volto di Cristo, il volto di uno che sa soltanto amare. E’ questa fiducia che cambia la vita per sempre: sentirsi amato teneramente, costantemente, appassionatamente. E sapere che lo stesso amore avvolge ogni creatura.

    Così si presenta Gesù, con una pretesa assoluta: io posso colmare tutta la tua vita. Io sono il divino che fa fiorire l’umano! Io sono un pane che contiene tutto ciò che serve per mantenere la vita: amore, libertà, coraggio, pace, bellezza. Dio è amore e riversa amore; Dio è luce e dilaga luce da Lui; Dio è eterno e l’eternità si insinua nell’istante. Dio fa vivere. Come ha saziato per un giorno la fame, così colma tutta la nostra vita. Una vita continuamente da assimilare, una calda corrente d’amore da far continuamente entrare in noi.

  • LA CONDIVISIONE E’ IL VERO PANE

    LA CONDIVISIONE E’ IL VERO PANE

    Parrocchia di Fontane
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    LA CONDIVISIONE E’ IL VERO PANE
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    Gv 6,1-15

    In quel tempo, Gesù passò all’altra riva del mare di Galilea, cioè di Tiberiade, e lo seguiva una grande folla, perché vedeva i segni che compiva sugli infermi. Gesù salì sul monte e là si pose a sedere con i suoi discepoli. Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei.

    Allora Gesù, alzàti gli occhi, vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: «Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?». Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva quello che stava per compiere. Gli rispose Filippo: «Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo».

    Gli disse allora uno dei suoi discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro: «C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?». Rispose Gesù: «Fateli sedere». C’era molta erba in quel luogo. Si misero dunque a sedere ed erano circa cinquemila uomini.

    Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, quanto ne volevano.

    E quando furono saziati, disse ai suoi discepoli: «Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto». Li raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d’orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato.

    Allora la gente, visto il segno che egli aveva compiuto, diceva: «Questi è davvero il profeta, colui che viene nel mondo!». Ma Gesù, sapendo che venivano a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte, lui da solo.

    La moltiplicazione dei pani è qualcosa di così importante da essere l’unico miracolo presente in tutti e quattro i vangeli. Giovanni lo colloca su un monte. L’attenzione è rivolta al significato del miracolo. Si nota subito che sullo sfondo c’è la prima Pasqua del popolo ebreo (“era vicina la Pasqua”). Come con Mosè c’è il passaggio del Mar Rosso così Gesù passò “all’altra riva del mare”. Il monte Sinai, casa di Dio, ora Gesù (“salì sul monte”). Nel libro dell’esodo, la manna avanzata marciva, qui il pane dato da Gesù non può andare perduto : “dodici ceste di pezzi avanzati”. Nella nuova Pasqua, il cibo non è più l’agnello, ma il pane (Gesù) che viene spezzato e distribuito. La molta erba fresca richiama i pascoli, il buon pastore. Infine i numeri, 5 pani e 2 pesci formano il numero 7, simbolo di pienezza. Il pane è d’orzo, pane di primizia, perché l’orzo è il primo dei cereali che matura.

       C’è numerosa folla che segue Gesù per i miracoli  di guarigione degli ammalati, che lo cerca per quello che fa, ma non sembra credere in Lui, Figlio di Dio. C’è però anche la piccola comunità dei suoi discepoli, che sale sul monte con Gesù e si pone a sedere accanto a Lui. 

       Nel racconto è solo Gesù che agisce. A Gesù nessuno chiede nulla, è Lui che per primo si accorge e si preoccupa: “Dove potremo comprare il pane per loro”? Alla sua generosità corrisponde quella di un ragazzo: nessuno gli chiede nulla, ma lui mette tutto a disposizione. Diventa così modello del vero discepolo: ragazzo senza nome e senza volto, che dona ciò che ha per vivere, che con la sua generosità innesca la spirale prodigiosa della condivisione, vero miracolo. Né Filippo, né Andrea superano la prova: dimostrano di essere schiavi delle cose del mondo, pensando che siano solo a loro disposizione. Così anche oggi la società pensa che la sua forza sia nel denaro, ritenendo impossibile la condivisione. Gandhi afferma: “Nel mondo c’è pane sufficiente per la fame di tutti, ma insufficiente per l’avidità di pochi”. Il problema del nostro mondo non è la penuria di pane, ma la povertà di quel lievito che incalza e spinge a condividere. Per una misteriosa regola divina, quando il mio pane diventa nostro pane, accade il miracolo. La fame finisce non quando mangiamo a sazietà, ma quando condividiamo, fosse pure il poco che abbiamo, quando a vincere è la generosità.

      Gesù esulta per il coraggio di questo ragazzo, e così compie il miracolo. Con il suo gesto, si colloca sull’alone profetico di Eliseo, portandolo però alla sua pienezza, quando il pane sarà celebrazione della sua Pasqua e della vita della comunità credente. Più che chiamare questo miracolo, moltiplicazione dei pani, parliamo di distribuzione dei pani (“li distribuì…”): un pane che non finisce mentre lo distribuivano, che non viene a mancare; e mentre passa di mano in mano, resta in ogni mano. Come cristiani siamo chiamati a fornire al mondo questo lievito, che ci chiama a fare di tutto ciò che abbiamo, doni di amore agli altri. 

      “Prese i pani, rese grazie e li distribuì…”: tre verbi che ci ricollegano subito ad ogni celebrazione eucaristica, in modo però che tutta la nostra vita diventi sacramento: “prendere, rendere grazie, donare”. Noi non siamo i padroni delle cose. Se ci consideriamo tali, profaniamo le cose: l’aria, l’acqua, la terra, il pane … Tutto quello che incontriamo non è nostro, è vita che ci viene data in dono, che domanda cura (“niente deve andare perduto”) e condivisione. Impariamo ad accogliere e a benedire gli uomini, il pane, Dio, la bellezza, la vita e poi a condividere. Accoglienza, benedizione, condivisione saranno dentro di noi sorgenti di Vangelo e di felicità.

       Volevano farlo re. La folla è religiosa solo in apparenza: vuole Dio a sua disposizione, un fornitore di pane a buon mercato, uno che plachi tutte le fatiche, i pianti, le paure che popolano il cuore. Gesù ci guida però dalla fame di pane alla fame di Dio. Per questo il pane che distribuisce prefigura il dono del suo corpo, principio della nostra vita nuova. Vuole porre la sua vita nella nostra vita.

  • LA COMPASSIONE DI GESU’: SGUARDO D’AMORE

    LA COMPASSIONE DI GESU’: SGUARDO D’AMORE

    Parrocchia di Fontane
    Parrocchia di Fontane
    LA COMPASSIONE DI GESU’: SGUARDO D’AMORE
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    Mc 6, 30-34.

    In quel tempo, gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato. Ed egli disse loro: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’». Erano infatti molti quelli che andavano e venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare.

    Allora andarono con la barca verso un luogo deserto, in disparte. Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città accorsero là a piedi e li precedettero.

    Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.

    Gesù, pur avendo molte cose da fare, non ha fretta, trova il tempo di ritirarsi, solo, sul monte a pregare. Il ritmo della sua giornata non trascura il momento della solitudine, della preghiera, della comunicazione col Padre.

    I discepoli ritornano dal loro giro missionario: hanno sperimentato la potenza della Parola, ma anche la fatica e il rifiuto. Raccontano le opere prodigiose da loro compiute e quanto hanno insegnato, suscitando tanto entusiasmo. Gesù li invita al riposo, in un luogo solitario, in sua compagnia: quasi lo sguardo di una madre che accoglie la stanchezza, gli smarrimenti, la loro fatica. Invece di buttare i suoi discepoli dentro la fornace del mondo, li porta via con sé. C’è un tempo per agire e un tempo per ritemprare le forze e ritrovare i motivi nel fare. Così per noi: se vogliamo far bene tutte le cose, ogni tanto smettiamo di farle, stacchiamo e riposiamoci. 

    Gesù vuole bene ai suoi discepoli, non li vuole spremere, li vuole felici con tutti gli altri: riposatevi, prendete del tempo per vivere. Questo è importante anche per ciascuno di noi.  Accogliamo questo suggerimento:

    Prenditi tempo per pensare / perché questa è la vera forza dell’uomo

    Prenditi tempo per leggere / perché questa è la base della saggezza

    Prenditi tempo per pregare / perché questo è il maggior potere sulla terra

    Prenditi tempo per ridere / perché il riso è la musica dell’anima

    Prenditi tempo per donare / perché il giorno è troppo corto per essere egoista 

    Prenditi tempo per amare ed essere amato / perché questo è il privilegio dato da Dio

    Prenditi tempo per essere amabile / perché questo è il momento della felicità

    Prenditi tempo per vivere!

    Il mondo è un immenso dramma, e Gesù, invece di ributtare i suoi dentro i campi sterminati della missione che urge, li conduce nel deserto. Quasi a perdere tempo! In questo tempo in disparte, il Signore concede ciò che ha veramente promesso: “Ne scelse Dodici, perché stessero con Lui”. Stare con Gesù è l’esperienza fondamentale di ogni inviato. Solo dopo aver accolto la sua persona, prima ancora che il suo messaggio, li manderà a predicare. Stanno con Gesù per imparare da Lui il cuore di Dio. Poi si ritorna tra la folla, portando la bellezza del vero amore che Dio ha acceso.

    Sbarcando, vide molta folla ed ebbe compassione di loro. Gesù è preso da un dilemma fra la stanchezza degli amici e lo smarrimento della folla. Partito con un programma importante, ora è pronto a cambiarlo. Partiti per restare soli e riposare, i Dodici imparano ad essere a disposizione dell’uomo sempre. Non appartengono a se stessi, ma al dolore e all’ansia di luce della terra. Il popolo non può rimanere senza pastore. Gesù accoglie e ne soddisfa le esigenze.

    I discepoli imparano da Gesù a commuoversi. Il ricordo che porteranno con sé dalla riva del lago è lo sguardo di Gesù che si commuove. Per Lui, guardare e amare sono la stessa cosa. Questo tesoro anche noi siamo chiamati a salvare: il miracolo della compassione. Quanto più noi siamo feriti dalla vita, tanto più il cuore di Gesù segue le nostre tracce, lungo tutti i sentieri in cui ci smarriamo: non per rimproverarci, ma per parlare al nostro cuore. Gesù sa che nell’uomo non è il dolore che annulla la speranza, neppure il morire, ma l’essere senza conforto nel giorno del dolore.

    Gesù invita noi ad avere questo stesso sguardo di commozione e tenerezza, a non privare il mondo della nostra compassione, consapevoli che ciò che possiamo fare, è solo una goccia nell’oceano, ma è questa goccia che può dare significato a tutta la nostra vita.

  • I DISCEPOLI PARTONO FORTI DI UN AMICO E DI UNA PAROLA

    I DISCEPOLI PARTONO FORTI DI UN AMICO E DI UNA PAROLA

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    I DISCEPOLI PARTONO FORTI DI UN AMICO E DI UNA PAROLA
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    Mc 6, 7-13.

    In quel tempo, Gesù chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri. E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due tuniche.

    E diceva loro: «Dovunque entriate in una casa, rimanetevi finché non sarete partiti di lì. Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro».

    Ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse, scacciavano molti demòni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano.

    E’ giunto il momento che anche i discepoli si mettano all’opera. Finora si sono limitati a seguire Gesù, a stare con Lui. Ora sono coscienti che la vita apostolica è fatta di successi e insuccessi, di accoglienza e di rifiuto. Questo è quanto capiterà lungo la storia anche alla comunità cristiana impegnata nell’annuncio.

    Marco ci fornisce i tratti essenziali della fisionomia del discepolo: che cosa deve fare, come presentarsi al mondo, come comportarsi quando si è accolti e quando si è rifiutati.

    A differenza della folla che ascolta e torna a casa, il discepolo rimane con Gesù, fa vita comune e itinerante con Gesù ed è inviato in missione. Il discepolo deve essere consapevole di essere inviato da Dio e non da una decisione propria, mandato per un progetto in cui come discepolo è coinvolto, ma di cui non è il regista.

    1. Cosa fare: predicare la conversione e operare prodigi. Viene messa in evidenza la pratica dell’Unzione degli infermi, radicata nell’attività degli stessi apostoli. “Ungevano con olio molti infermi”. Le mani dei discepoli sui malati annunciavano: Dio è già qui, è vicino col suo amore ad ogni persona, guarisce la vita.

    2. Come presentarsi: l’apostolo è povero, totalmente affidato alla provvidenza. Deve apparire come un bisognoso, perché risalti meglio il senso dell’annuncio. Solo se povero, il missionario garantisce la credibilità della sua predicazione. Contemporaneamente l’apostolo deve sapere con certezza che non gli mancherà niente.

    Prese a mandarli a due a due. Ogni volta che Dio chiama, ti mette in viaggio. Viene ad alzarti dalla vita installata, accende obiettivi nuovi, apre sentieri. A due a due e non ad uno ad uno. Il primo annuncio che i Dodici portano è senza parole, è l’andare insieme, l’uno a fianco dell’altro, unendo le forze.

    Ordinò loro di non prendere nient’altro che un bastone … Solo un bastone a sorreggere il passo e un amico a sorreggere il cuore. Un bastone per appoggiarvi la stanchezza, un amico per appoggiarvi il bisogno di comunione, per non sentirsi soli. Il primo annuncio dei Discepoli è senza parole: è la loro vita stessa, un evento di amicizia, un germe di comunità, la vittoria sulla solitudine. La povertà dei discepoli fa risaltare la potenza creativa dell’amore. Le cose, il denaro, i mezzi, lungo  i secoli hanno spento la creatività della chiesa. Il discepolo vive, dipendendo dal cielo e dagli altri, di pane condiviso e di fiducia.

    Il discepolo vive di fiducia in Dio che non fa mancare nulla e di fiducia negli uomini che apriranno le loro case. Il punto di approdo del discepolo è la casa: luogo dove la vita nasce ed è più vera. Il Vangelo deve essere significativo proprio lì, nella casa, deve parlare e guarire nei giorni delle lacrime e in quelli della festa: quando il figlio se ne va, quando l’anziano perde il senno o la salute …

    3. Come comportarsi quando si è accolti e quando si è rifiutati. E’ l’atmosfera drammatica della missione. Al rifiuto i discepoli non oppongono risentimenti, ma solo un po’ di polvere scossa dai sandali, per illuminare le persone in modo che si rendano conto del rifiuto del messaggio della salvezza. Al discepolo è affidato un compito, non garantito il successo. E non bisogna deprimersi per una sconfitta, per un rifiuto: c’è un’altra casa poco più avanti, un altro villaggio, un altro cuore. All’angolo di ogni strada germoglia l’infinito.

    Il discepolo non è solo un maestro, ma un testimone che, dalla parte della verità, della libertà e dell’amore, si impegna nella lotta contro il Male.

  • LO SCANDALO DI VEDERE DIO COME UNO DI NOI

    LO SCANDALO DI VEDERE DIO COME UNO DI NOI

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    LO SCANDALO DI VEDERE DIO COME UNO DI NOI
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    Mc 6, 1-6.

    In quel tempo, Gesù venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono.

    Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo.

    Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità.

    Gesù percorreva i villaggi d’intorno, insegnando.

    Bilancio di una missione. Dopo il rifiuto e la volontà di morte del potere religioso, l’entusiasmo delle folle è sempre in crescendo: accorrono a Gesù sempre più numerose persone, provenienti da ogni parte della Palestina. Lo seguono e lo aspettano ovunque; infine, mentre si reca da Giairo, lo seguono e lo pigiano da ogni parte. Ma cosa pensa tutta quella gente di Gesù? Il nostro brano ci presenta la reazione della gente all’agire e al rivelarsi di Gesù.

    L’episodio di Nazaret (sua patria: villaggio che sarebbe stato ignorato dalla storia, se lì non fossero vissuti Gesù, Maria e Giuseppe) prefigura il rifiuto dell’intero Israele. Gli ascoltatori passano dallo stupore iniziale allo scandalo. Lo stupore è un atteggiamento di partenza, l’atteggiamento di chi resta colpito e quindi costretto ad interrogarsi; ma è un atteggiamento neutrale che può sfociare sia nella fede, sia nell’incredulità.

    Cinque domande contengono lo scandalo della fede: da dove gli vengono queste cose… questa sapienza … questi prodigi? Però né la sapienza, né i miracoli fanno nascere la fede: è vero il contrario: è la fede che fa fiorire i miracoli. Gli abitanti di Nazaret passano dallo stupore al rifiuto. Chi è quest’uomo? Non è il carpentiere? E’ la normalità che contesta la profezia. Quest’uomo che conosciamo bene, la sua concreta fisionomia, le sue umili origini, il suo modo umile di apparire, non può essere Dio. E’ la sua umanità che impedisce di credere. Dio non può essere presente nelle vesti di un carpentiere, nella sua concreta fisionomia, nelle sue umili origini di un operaio senza cultura, senza studi. 

    Il rifiuto può trovare la sua origine, persino nel desiderio di difendere la grandezza di Dio. L’incredulità è nell’incapacità di riconoscere Dio nell’umiltà dell’uomo Gesù.

    Il popolo d’Israele ha sempre rifiutato i profeti di Dio: è un fatto scontato che anche Gesù sia rifiutato. E’ questo lo scandalo della fede: la forza della Parola di Dio si riveste di debolezza e di quotidiano, la potenza di Dio sta tutta nell’impotenza della croce. Con grande sorpresa si scopre una grande incredulità in chi si pensava credente. 

    Anche Gesù, deluso, si meraviglia dell’agire dei suoi compaesani, Però, subito, il Dio rifiutato non si arrende, si fa guarigione; l’amante respinto continua ad amare; l’amore non è stanco, è solo stupito, non nutre rancori, continua ad inviare segnali di vita. Qualsiasi sia l’atteggiamento del popolo (ascoltino o non ascoltino) Dio ha deciso di farsi compagnia del suo popolo. Dio, amore respinto, continua ad amare. Il Dio rifiutato si fa ancora guarigione. L’amore non è stanco, è solo stupito; non mostra rancore, continua ad inviare segnali di vita. 

    I discepoli, che stanno accompagnando Gesù, devono imparare dal Maestro come si vivono le situazioni di rifiuto. Gesù vede se stesso come il Servo di Dio, rifiutato dai suoi (Is 53,3…), come colui che ha faticato invano, che per nulla e invano ha consumato le sue forze. Ma già si intravede la nuova piccola famiglia, il segno della speranza.