Autore: Alessandra Giorgi

  • GESÙ, IL SIGNORE DELLA VITA CHE PORTA SALVEZZA

    GESÙ, IL SIGNORE DELLA VITA CHE PORTA SALVEZZA

    Parrocchia di Fontane
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    GESÙ, IL SIGNORE DELLA VITA CHE PORTA SALVEZZA
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    Mc 5, 21-43.

    In quel tempo, essendo Gesù passato di nuovo in barca all’altra riva, gli si radunò attorno molta folla ed egli stava lungo il mare. E venne uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, come lo vide, gli si gettò ai piedi e lo supplicò con insistenza: «La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva». Andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno.

    Ora una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza alcun vantaggio, anzi piuttosto peggiorando, udito parlare di Gesù, venne tra la folla e da dietro toccò il suo mantello. Diceva infatti: «Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata». E subito le si fermò il flusso di sangue e sentì nel suo corpo che era guarita dal male.

    E subito Gesù, essendosi reso conto della forza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: «Chi ha toccato le mie vesti?». I suoi discepoli gli dissero: «Tu vedi la folla che si stringe intorno a te e dici: “Chi mi ha toccato?”». Egli guardava attorno, per vedere colei che aveva fatto questo. E la donna, impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. Ed egli le disse: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male».

    Stava ancora parlando, quando dalla casa del capo della sinagoga vennero a dire: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?». Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, soltanto abbi fede!». E non permise a nessuno di seguirlo, fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo.

    Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava forte. Entrato, disse loro: «Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme». E lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui ed entrò dove era la bambina. Prese la mano della bambina e le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico: àlzati!». E subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. E raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e disse di darle da mangiare.

    Il vangelo oggi ci sollecita ad esaminare la nostra fede. Chiamati da Gesù ad essere destinatari della salvezza, siamo invitati ad imparare a vivere di fede per essere salvi. Gesù si presenta come colui che salva una donna, e colui che vince la morte.

    Il racconto dei due miracoli, l’uno dentro l’altro, è intrecciato dal motivo della fede. I due protagonisti hanno sperimentato l’impossibilità di essere salvati dagli uomini: la loro fede però – di Giairo e dell’emorroissa non è ancora perfetta.

    Giairo, spinto da una grande necessità, si reca da Gesù e si presenta, lui capo della sinagoga, come uomo di fede: si getta ai piedi di Gesù in umile preghiera. Sua figlia sta per morire, ma Giairo crede  che Gesù la può salvare, impedendo alla morte di afferrarla. Per questo chiede a Gesù un gesto di benedizione più che sufficiente per trasmettere alla figlia quella forza che Gesù ha e che nessun altro possiede: la vita.

    Una donna si avvicina a Gesù, mentre sta andando alla casa di Giairo, circondato da grande folla. La donna con continue perdite di sangue, per la legge, è impura e rende impuro tutto ciò che tocca: cose o persone. Da qui il suo agire nascosto, ma anche la sua volontà di guarire. Tanta gente pigiava Gesù da ogni parte, ma solo quella donna “lo toccò”, mossa dalla sua fede. Non poteva presentarsi davanti a Gesù dicendo davanti a tutti chi era. Guai se l’avesse fatto! Era impura. L’esclusa scavalca la legge, perché crede in una forza più grande della legge.

    La donna guarita aveva però bisogno di essere guarita dalla sua paura. Il racconto passa così dall’emorroissa che va da Gesù, a Gesù che dialoga con l’emorroissa. Gesù si era accorto della fede della donna, ma la vedeva piena di paura per quanto aveva fatto e schiava della condanna della legge. Gesù la libera, dà pubblicità all’accaduto, la chiama “figlia”, ora fa parte della comunità di salvezza, purificata e libera da tutti i tabù della legge. Lei, l’esclusa dalla legge, ora è la figlia amata. Dio non bada al puro o all’impuro, ma alla fede. 

    Ora vediamo Gesù e Giairo. E’ ancora la fede al centro del racconto. “Tua figlia è morta”. Due parole sono ora a confronto: quella degli annunciatori di morte, per i quali non c’è nulla da fare contro la morte; e quella di Gesù: “continua a credere”. La fede è l’unico antidoto alla disperazione.

    “La bambina non è morta, ma dorme”. “E lo deridevano”.Le risa dei presenti dicono la loro non fede nella parola di Gesù. Dopo la commozione, Gesù cacciò tutti fuori di casa. Costoro restano fuori, con i loro flauti inutili, fuori dal miracolo, con tutto il loro realismo. La morte è evidente, ma l’evidenza della morte è un’illusione, perché Dio inonda di vita anche le strade della morte. Il cimitero – ricordiamolo – è la casa dei dormienti, è la casa di Giairo, dove i figli e le figlie di Dio non sono morti, ma dormono, in attesa della mano che li rialzerà. Gesù entrerà nella morte, perché là va ogni suo amato. Lo farà per essere con noi e come noi, perché possiamo essere con Lui e come Lui. Dio non ha creato la morte. Dio è il Dio dei vivi, non dei morti.

    “Gesù prende con sé”, crea la nuova comunità (padre e madre, i tre discepoli testimoni). Ricompone la cerchia degli affetti attorno alla bambina, perché ciò che vince la morte non è la vita, ma l’amore. Gesù, la vita, non sopporta i segni della morte. La morte cede la sua preda di fronte a Colui che è con il Padre, donatore di vita, e quindi salvatore. Dio non ha creato la morte. 

    “Talità kum: bambina alzati”. E’ solo la bambina che può risollevarsi. E lei si alza e si mette a camminare. Alzarsi e risvegliarsi. I verbi di ogni nostro mattino, della nostra piccola resurrezione quotidiana. Non era lecito per la Legge toccare un morto, Gesù ci insegna che bisogna toccare la disperazione delle persone per poterle salvare. Gesù è la mano che ci prende per mano. La sua mano nella nostra mano, docilmente s’intreccia con le nostre vite, il suo respiro con il nostro, la sua forza con le nostre forze.

    I due miracoli dunque attirano l’attenzione sulla fede di chi li domanda. Non sono miracoli che danno la fede: non servono là dove c’è chiusura e ostinazione. Gesù non compie miracoli dove gli uomini hanno già deciso e pretendono di essere loro a stabilire le modalità dell’agire di Dio. Il miracolo è dono della libera iniziativa di Dio. Non è raro che siamo ciechi di fronte ai molti segni che Dio compie, non abbiamo il cuore aperto a decifrarli e il coraggio per deciderci, e allora continuiamo a pretendere altri miracoli. Non ci accorgiamo dei molti segni che Dio ha già seminato lungo la strada della storia e della nostra vita.

  • UN GRANELLO DI LUCE NEL BUIO DELLA PAURA

    UN GRANELLO DI LUCE NEL BUIO DELLA PAURA

    Parrocchia di Fontane
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    UN GRANELLO DI LUCE NEL BUIO DELLA PAURA
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    Mc 4,35-41

    In quel tempo, venuta la sera, Gesù disse ai suoi discepoli: «Passiamo all’altra riva». E, congedata la folla, lo presero con sé, così com’era, nella barca. C’erano anche altre barche con lui.

    Ci fu una grande tempesta di vento e le onde si rovesciavano nella barca, tanto che ormai era piena. Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: «Maestro, non t’importa che siamo perduti?».

    Si destò, minacciò il vento e disse al mare: «Taci, calmati!». Il vento cessò e ci fu grande bonaccia. Poi disse loro: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?».

    E furono presi da grande timore e si dicevano l’un l’altro: «Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?».

    Gesù ha un potere sovrano sulle forze della natura. E’ il primo di 4 miracoli del “libretto dei miracoli”. Gesù si presenta come dominatore della natura e della stessa morte. Lui solo può salvare. Guardando il modo di reagire dei discepoli e il comportamento della folla, anche noi siamo sollecitati a vagliare la nostra fede.

    Ci viene presentata una notte di tempesta e di paura sul lago, e Gesù che dorme.  Anche il nostro mondo è in piena tempesta, geme di dolore, e Dio sembra dormire. L’angoscia spesso ci porta a contestarlo: Non ti importa di noi? Perché dormi? Svegliati! Sembra di risentire il grido presente in tanti salmi, nel libretto di Giobbe … Poche esperienze sono umane come questa paura di morire e di vivere nell’abbandono.

    Le barche non sono state costruite per stare ormeggiate al sicuro nei porti. Era stato Gesù a comandare di prendere il largo. Improvvisamente gli apostoli si trovano in una situazione di nessuna speranza: la barca, ormai riempita dall’acqua, stava per affondare. Solo allora gli apostoli guardano a Gesù che dorme e, con tono di rimprovero, lo svegliano. Non conoscevano Gesù. Ancora non riuscivano a immaginarsi che insieme a Gesù non si può affondare.

    Perché avete così tanta paura? Dio non è altrove e non dorme. E’ già qui, sta nelle braccia forti degli uomini sui remi, sta nella presa sicura del timoniere, è nelle mani che svuotano l’acqua che allaga la barca. Dio è presente, ma a modo suo: vuole salvarci, ma lo fa chiedendoci di mettere in campo tutte le nostre capacità. Non interviene al nostro posto, ma insieme a noi, non ci esenta dalla traversata, ma ci accompagna nell’oscurità. Non ci custodisce dalla paura, ma nella paura. Come Il Padre non ha salvato Gesù dalla croce, ma nella croce.

    Noi  vorremmo che il Signore gridasse subito all’uragano: “Taci” e alle onde “Calmatevi” e alle nostre angosce: siano finite. Vorremmo essere esentati dalla lotta, invece Dio risponde chiamandoci alla perseveranza, moltiplicandoci le energie. La sua risposta è tanta forza quanta ce ne serve per il primo colpo di remo. E ad ogni colpo Lui la rinnoverà. Per questo ci invita alla fede: molto più dei passeri e dei gigli del campo noi siamo nei pensieri di Dio che conta i nostri capelli e tutte le paure che portiamo nel cuore. Lui è vicino e fa argine alle nostre paure. Lo troveremo nei riflessi più profondi delle nostre lacrime.

    Dopo la calma, gli apostoli appaiono più spaventati di prima, e sentono Gesù come un mistero. Ecco la loro domanda: Chi è costui? Nasce dalla meraviglia di fronte alla potenza di Gesù. Gesù li aveva provocati a sua volta con una domanda: “Perché siete così paurosi”? La fede matura sa rendere le persone tranquille anche nelle difficoltà.

    Si può essere persone di poca fede in due modi: quando non si ha il coraggio di lasciare tutto per seguire Gesù; e c’è poca fede anche quando, avendo lasciato tutto per Gesù, pretendiamo una continua presenza chiara del Signore, consolante, e accompagnata da continue verifiche. Questa è una fede ancora immatura, perché confonde il “silenzio di Dio” con la sua assenza. Porta ad un agire poco coraggioso, incapace di scelte nuove, rischiose: scelte dettate dalla cautela del buon senso, non di chi si affida alla potenza di Dio. Il vero discepolo si sente al sicuro in compagnia del Signore, anche quando le difficoltà sono grandi e il Signore sembra dormire. Gesù constata la situazione di fede dei discepoli, e capisce che c’è un lungo cammino per educarli alla vera fede.

    Nel Gesù che dorme tranquillo sul cuscino c’è certamente una allusione a Giona che dormiva nella stiva della nave durante una furiosa tempesta. Quando fu svegliato e gettato in mare, ritornò la calma e tutti furono salvi. La salvezza non viene forse a noi perché Gesù è morto ed è stato gettato sotto terra? Non dobbiamo dimenticare che Dio Padre ci salva per mezzo della morte e resurrezione del suo Figlio, Gesù.

  • DIO, SEMINATORE CHE NON SI STANCA MAI DI NOI

    DIO, SEMINATORE CHE NON SI STANCA MAI DI NOI

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    DIO, SEMINATORE CHE NON SI STANCA MAI DI NOI
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    Mc 4,26-34

    In quel tempo, Gesù diceva [alla folla]: «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura».

    Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra».

    Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa.

    Le parabole sono raccontate da Gesù in modo che gli ascoltatori cambino il loro modo di pensare. Contengono infatti un messaggio che corregge ciò che tutti pensano o sono portati a pensare e annuncia una novità apportata da Gesù non a livello di idee, ma come qualcosa che cambia il modo di vivere.

    Gesù, narratore di parabole, sceglie sempre parole di casa, di orto, di lago, di strada. Racconta storie di vita e le fa diventare storie di Dio. Così il regno di Dio è come un uomo che getta il seme nel terreno. L’infinito di Dio raccontato da un minuscolo seme, il futuro nella freschezza di un germoglio di senape.

    Le parole antitetiche “dormire – alzarsi, notte – giorno fanno percepire la lunghezza dell’attesa. Il contadino sa che dopo aver seminato il seme nella terra, non può intervenire, perché non sa come il tutto avvenga. E la terra fa da sé, con calma, secondo le sue leggi. La crescita non dipende dal contadino. Il racconto fa passare, diluite nel tempo, quasi al rallentatore, le varie fasi del crescere. Ma la sua attesa non è certo inattiva, è soprattutto un essere  “subito” pronto per il tempo della mietitura.  Il Signore ci invita a non avere  nessuna ansia pastorale, ma solo sollecitudine e attesa.

    Nel Regno accade ciò che succede nella vita profonda di ogni essere. Dio è il seminatore infaticato della nostra terra, continuamente immette in noi e nel cosmo le sue energie in forme germinali: il nostro compito è portarle a maturazione. Siamo un pugno di terra in cui Dio ha deposto i suoi germi vitali. Nessuno ne è privo, nessuno è vuoto, perché la mano di Dio continua a creare. 

    Che dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Gesù sottolinea un miracolo infinito di cui non ci stupiamo più: alla sera vedi un bocciolo, il giorno dopo si è aperto un fiore. Senza alcun intervento esterno. La fede è credere che l’intera creazione, il bene crescono e fioriscono per una misteriosa forza interna che è da Dio. Nonostante le nostre resistenze e distorsioni, nel mondo e nel cuore, il seme di Dio germoglia e si arrampica verso la luce.

    Il terreno poi produce spontaneamente. Non fatica né il seme né il terreno. Così la lucerna quando è accesa, così il sale, per dare sapore ai piatti. E’ la legge della vita: per stare bene, anche l’uomo deve dare. Quando è maturo il frutto si dà, si consegna. Così l’uomo è maturo quando, come  effetto di una vita armoniosa, è pronto a donarsi, a consegnarsi, a diventare anche lui pezzo di pane buono per la fame di qualcuno.

     C’è una meravigliosa dinamica di crescita:

    Dio ama racchiudere il grande nel piccolo,

    l’universo nell’atomo, l’albero nel seme,

    l’uomo nell’embrione, la farfalla nel bruco,

    l’eternità nell’attimo, l’amore in un cuore,

    se stesso in noi.

    La seconda parabola sottolinea la sproporzione: sembra impossibile che da un seme così minuscolo, granello di senapa, possa derivare un albero tanto rigoglioso: anche qui c’è da stupirsi, da meravigliarsi! Proprio ciò che ai nostri occhi è piccolo, può avere una forza impensabile. La Parola di Dio può apparire fragile, debole, eppure ha una forza di fecondità incredibile.

    Gesù è sempre ottimista. Guarda avanti e vive di certezze, e le vuole infondere in noi. Egli si sente come un piccolo seme tra gli uomini, un seme seminato dal Padre; ma sa già che dopo essere andato sottoterra germoglierà e non rimarrà solo. Le immagini di grandezza non sono per l’oggi, ma per il futuro lontano. Però è certo che un giorno il Regno apparirà in tutta la sua grandezza come potenza che salva.

    Noi non salveremo il mondo. Ma, dice Gesù, un altro è il vostro compito: gli uccelli verranno e vi faranno il nido. All’ombra della nostra vita verranno per riprendere fiato, trovare ristoro, fare il nido. Se abbiamo aiutato anche una sola persona a stare un po’ meglio, la nostra vita è realizzata. Non dimentichiamo che Dio sceglie i mezzi poveri: il suo Regno cresce per la misteriosa forza segreta delle cose buone, per l’energia propria della bellezza, della tenerezza, della verità, della bontà.

    Il seme ci invita ad avere occhi profondi e a compiere i gesti propri di Dio. Mentre il nemico semina morte, noi come contadini pazienti e intelligenti, contadini del Regno dei cieli, seminiamo grano buono: semi di pace, giustizia, coraggio, fiducia. Lo facciamo scommettendo sulla forza della prima luce dell’alba, che appare minoritaria, eppure è vincente.

    Dio è all’opera in seno alla storia insieme a noi, in silenzio e con piccole cose.

  • L’EUCARESTIA CI TRASFORMA: IN QUEL PANE L’AMORE CERCA CASA

    L’EUCARESTIA CI TRASFORMA: IN QUEL PANE L’AMORE CERCA CASA

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    L’EUCARESTIA CI TRASFORMA: IN QUEL PANE L’AMORE CERCA CASA
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    Mc 14,12-16.22-26

    Il primo giorno degli àzzimi, quando si immolava la Pasqua, i discepoli dissero a Gesù: «Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa mangiare la Pasqua?».

    Allora mandò due dei suoi discepoli, dicendo loro: «Andate in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d’acqua; seguitelo. Là dove entrerà, dite al padrone di casa: “Il Maestro dice: Dov’è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?”. Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala, arredata e già pronta; lì preparate la cena per noi».

    I discepoli andarono e, entrati in città, trovarono come aveva detto loro e prepararono la Pasqua.

    Mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: «Prendete, questo è il mio corpo». Poi prese un calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse loro: «Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti. In verità io vi dico che non berrò mai più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo, nel regno di Dio».

    Dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi.

    Da molti anni facciamo la comunione, spesso camminando distratti verso l‘altare. Eppure Cristo non si nega: Dio ci cerca sempre. L’amore cerca casa. La comunione, più che un nostro bisogno, è un bisogno di Dio. Ad ogni Eucarestia, ad ogni comunione, per un istante almeno ci affacciamo su questo amore di Dio che ci cerca. Dio in cammino verso di noi, che entra in noi, che in noi trova casa. Neanche Dio può stare solo. Facendo la Comunione siamo colmi di Dio. Ogni volta facciamo fatica a trovare parole e finiamo per dedicargli il silenzio. Quello che sembra incredibile è che Dio faccia un patto di sangue proprio con noi. Noi che gli andiamo bene così come siamo, anche se spesso siamo un intreccio di ombre e di paure. Non abbiamo doni da offrire, siamo persone con una storia accidentata, abbiamo bisogno di cure, con molti deserti e qualche oasi. Noi non dobbiamo fare altro che accoglierlo, dire di “sì” al suo progetto di fare comunione con noi.

    Marco, nel raccontarci come Gesù ha istituito l’Eucarestia, ci dice come la comunità credente, fin dall’inizio, la celebrava. La celebrazione avveniva in una casa, nella semplicità: è un pasto comunitario, per fare comunione tra fratelli. L’Eucarestia, la “Cena del Signore”, dev’essere preparata, non improvvisata. Lo esige Gesù. I due discepoli, incaricati da Gesù, preparano tutto per la celebrazione: l’agnello, il pane, il vino, le erbe amare per ricordare l’uscita dalla schiavitù dell’Egitto. Giunta la sera, Gesù si riunisce a mensa con i suoi discepoli. Nel racconto però la Pasqua ebraica è totalmente dimenticata, e la cena ebraica diventa la “Cena del Signore”. Alla luce di Cristo risorto, i discepoli comprendono che Gesù è il vero e definitivo agnello pasquale e sanno di aver celebrato in anticipo la vera e definitiva Pasqua, dando inizio a quel passaggio che si concluderà nel Regno di Dio. La Pasqua ebraica faceva memoria di una salvezza temporale, l’Eucarestia è memoria della definitiva salvezza che si è compiuta in Gesù.

    Marco colloca il gesto dell’Eucarestia in un contesto di tradimento (Giuda) e di abbandono (rinnegamento di Pietro e abbandono dei discepoli). In questo stridente contrasto fra il gesto di Gesù e il tradimento degli uomini, la comunità ha colto la grandezza dell’amore di Cristo, la sua gratuità. La comunità è innanzitutto invitata a non scandalizzarsi allorché scoprirà al proprio interno il tradimento e il peccato, a non dire: questa non è più la Chiesa amata da Dio. Contemporaneamente la comunità non deve cullarsi nelle false sicurezze, presumere di sé come faceva Pietro: il peccato è sempre possibile, ed è male fidarsi delle proprie forze. Nonostante la divisione, la fede ci dice che l’amore ostinato di Cristo ci salva.

    “Prendete”. Il verbo è preciso e nitido come un ordine: Gesù non chiede agli Apostoli di adorare, contemplare, venerare quel Pane; dice molto di più: voglio stare nelle tue mani come dono, nella tua bocca come pane, nell’intimo tuo come sangue: prendere, stringere, fare proprio il suo corpo che, come il pane che mangiamo, si fa cellula del nostro corpo, respiro, gesto, pensiero. Si trasforma in noi e ci trasforma. Ci invita a prenderlo in modo che risuoni tutto il bisogno di Dio di realizzare in noi una comunione senza ostacoli, senza paure, senza confini. Dio in noi: il nostro cuore lo assorbe, lui assorbe il nostro cuore e diventiamo una cosa sola.

    “Ecco il mio corpo”, non la mia mente, la mia volontà, la mia divinità, ma semplicemente il corpo: il sublime dentro il dimesso, lo splendore dentro l‘argilla, il forte dentro il debole. Questo è Gesù che vuole entrare in comunione con noi, che si dona a noi, che vuole fare di noi la sua comunità. Gesù non ci ha portato solo la salvezza, ma la redenzione. Non ci ha tirati solo fuori dalle acque che ci sommergevano, ma ha trasformato la nostra debolezza in forza, la maledizione in benedizione, il tradimento di Pietro in atto d’amore, la veste di lutto in abito di gioia, la carne in casa di Dio. Ha riconosciuto che i frutti della terra sono doni di Dio, ha invocato su di essi la benedizione e così ha unito cielo e terra. Il pane e il vino rendono così presente per noi il sacrificio di Cristo.

    Nel suo corpo Gesù ci dà tutto ciò che unisce una persona alle altre. Nel suo corpo ci dà una storia: mangiatoia, strade, lago, croce, sepolcro vuoto…, ci dà Dio che si fa uomo in ogni uomo. Nel sangue ci dà la fedeltà fino all’estremo, il rosso della passione, il centro che pulsa fino ai margini. Vuole che nelle nostre vene scorra il flusso caldo e perenne della vita, che nel nostro cuore metta radici il suo coraggio, e quel miracolo che è il dono di sé. E’ il sacrificio dell’alleanza, che richiede che i membri dell’alleanza entrino in comunione tra di loro e con Dio, mangiando la vittima dell’alleanza.

    Gesù neppure il suo corpo ha tenuto per sé, neppure il sangue ha conservato: legge suprema dell’esistenza è il dono di sé, unico modo perché la storia sia, e sia amica. Norma di vita è donare la vita. Così è il mondo di Dio. Dalla prima comunione (quella di Dio con noi) scaturisce la seconda (quella fra noi). La vita di Gesù (una vita in dono per tutti, nonostante il rifiuto) definisce la nostra vita, la maniera autentica di seguirlo. La prima finalità dell’Eucarestia è proprio quella di unire i fratelli tra di loro, con Gesù e con Dio. Questo continua a fare ancora oggi il Signore, che è sempre nella sua comunità. Egli si rende presente a noi e se noi ci rendiamo presenti a Lui, viviamo il “ne bevvero tutti” dell’Ultima Cena.

  • MANDATI A MOSTRARE A TUTTI L’AMORE DI DIO TRINITA’

    MANDATI A MOSTRARE A TUTTI L’AMORE DI DIO TRINITA’

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    Mt 28, 16-20

    In quel tempo, gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato.

    Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono.

    Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».

    Obbedendo alle indicazioni delle donne, messaggere dell’annuncio pasquale, memoria delle parole di Gesù, prima della passione: “Quando sarò risuscitato, vi precederò in Galilea”, i discepoli, seguendo puntualmente quel comando, sono andati al monte che aveva loro indicato, in Galilea.

    Attorno a Gesù torna a ritrovarsi il nuovo popolo di Dio, che si era disperso durante la passione. Sul nuovo monte Sinai, dove Gesù aveva annunciato le beatitudini, moltiplicato il pane, si era mostrato trasfigurato dal Padre, i discepoli ascoltano le ultime parole del Risorto e le sue ultime volontà.

    Gesù, Servo umile e sofferente, ora è il Signore di tutti, che ha ricevuto ogni potere in cielo e sulla terra. Compiuto il suo servizio, Dio lo ha risuscitato dai morti, lo ha costituito Signore e Messia. Il Risorto ora è vicino ai suoi discepoli, rinnova i vincoli di comunione che ora gli permettono una presenza che non ammette barriere, strettamente legata alla loro missione di discepoli e all’annuncio del regno che dev’essere proclamato in tutto il mondo.

    Constatando che i discepoli, pur credendo, dubitano spesso, invece di rimproverarli, Gesù si fa ancora più vicino e, occhi negli occhi, respiro su respiro, entra con delicatezza in loro per stare con loro, promettendo che non si allontanerà mai più: “ecco io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”. Su queste parole meravigliose si chiude il Vangelo di Matteo e si apre e si fonda la nostra vita, la nostra esperienza di credenti. La promessa che il nome di Gesù includeva (Emmanuele, Dio con noi) è qui mantenuta. Il nome di Dio continua ad essere: “Eccomi qua”.

    Andate e battezzate ogni creatura nel nome del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo. I nomi che  Gesù sceglie per mostrare il volto di Dio. Sono nomi che vibrano d’affetto, di famiglia, di legami. Padre e Figlio sono nomi che l’uno senza l’altro non esistono: figlio non c’è senza padre, né il padre è tale se non ha figli. Per dire Dio, Gesù sceglie nomi che abbracciano, che vivono l’uno nell’altro. Il terzo nome, Spirito Santo, significa alito, respiro, anima. Dice che la vita, ogni vita, respira pienamente quando la si ascolta viene presa a carico, abbracciata. 

    In Dio troviamo la sapienza del vivere, colmo di indicazioni esistenziali che illuminano la nostra vita. Infatti Adamo è creato, più ancora che ad immagine di Dio, a somiglianza della Trinità, ad immagine di un legame d’amore, di un Dio che non è abitudine. Vivere, per Dio e per l’uomo, è essere in comunione. In principio, la relazione; in principio il legame. Siamo creati ad immagine di un Padre che è la fonte della vita, a immagine di un Figlio che accende di comunione tutte le nostre solitudini. La nostra natura è di essere legame d’amore. Siamo persone quanto più siamo simili all’amore di Dio.

       Immergete, dice Gesù, ogni creatura dentro l’oceano dell’amore di Dio, rendetela consapevole che in Dio siamo, ci muoviamo, respiriamo. L’esistenza cristiana inizia e si svolge nel nome di, cioè in relazione, in comunione col Padre, col Figlio, con lo Spirito Santo. Il battesimo introduce il cristiano nel dialogo d’amore delle tre divine Persone. Il mistero della Trinità, rivelandoci il mistero di Dio, ci rivela chi siamo noi.

    Fate miei discepoli. La vera missione della chiesa è trasmettere vita, valori, energie, strade per vivere in pienezza. Insegnate ad amare, ad essere felici, cioè ad essere vivi. La missione della chiesa tende a conquistare gli uomini e a metterli, individualmente e comunitariamente, in relazione con Cristo, accompagnando ogni vita all’incontro con la vita di Dio. E’ cristiano il discepolo che ascolta Gesù e lo segue, che si lascia coinvolgere nella sua opera di salvezza e si lega personalmente a lui e in lui accetta di entrare in relazione con il Padre e con lo Spirito Santo.

    L’opera che Gesù affida ai suoi discepoli è quella di riunire gli uomini tutti nel movimento del Regno, e di organizzare il nuovo popolo di Dio. Questo compito non finirà mai, è sempre attuale e impone il coraggio di guardare avanti. Tutte le capacità umane vengono messe a disposizione per costruire un mondo nuovo veramente umano, perché formato da fratelli e figli di Dio. Chi si impegna non sarà deluso.

  • UN MONDO RIEMPITO DELLO SPIRITO DI DIO

    UN MONDO RIEMPITO DELLO SPIRITO DI DIO

    Parrocchia di Fontane
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    UN MONDO RIEMPITO DELLO SPIRITO DI DIO
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    Gv 15 ,26-27; 16, 12-15.

    In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:

    «Quando verrà il Paràclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli darà testimonianza di me; e anche voi date testimonianza, perché siete con me fin dal principio.

    Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà».

    Gesù risorto, la sera del primo giorno della settimana (Pasqua) soffia sugli apostoli raccolti nel cenacolo dicendo: “Ricevete lo Spirito Santo”. Il vangelo di quest’anno ci presenta due piccoli brani del discorso di Gesù dopo l’ultima Cena.

    Nel primo (Gv 15, 26-27), Gesù promette ai discepoli lo Spirito Santo. In un contesto di persecuzione, si parla della testimonianza apostolica sostenuta dallo Spirito. I discepoli non sono mai abbandonati a se stessi nel momento del pericolo. Gesù ha promesso di mandare loro un Difensore, lo Spirito di Verità, che renderà gli apostoli capaci di continuare l’opera di Gesù. Lo Spirito di verità ricorderà loro il senso, la verità di tutto ciò che hanno udito e visto in Gesù. Lo Spirito è inviato dal Padre nel nome di Gesù. Padre e Figlio ce lo donano (Credo nello Spirito Santo … che procede dal Padre e dal Figlio). Dopo la partenza di Gesù, il primo paraclito, lo Spirito occuperà il suo posto per essere il loro paraclito (= assistente, mediatore, avvocato). Distinto da Gesù, parlerà in nome di Gesù. 

    Gesù, mentre muore – dice S. Giovanni – “rese lo spirito”: trasmette alla sua chiesa il suo Spirito. Questo Spirito di Gesù fa sì che la chiesa ripeta lungo la storia gli atti di Gesù, annunzi la parola di Gesù, perpetui nell’Eucarestia il ringraziamento di Gesù, conservi tra i fratelli l’unione che raggruppava i fratelli intorno a Gesù. Lo Spirito mantiene aperta la storia di Gesù, rendendola così perennemente attuale e salvifica. Senza lo Spirito, la storia di Gesù sarebbe rimasta una storia chiusa nel passato, non un evento perennemente contemporaneo. Lo Spirito è la continuità fra il tempo di Gesù e il tempo della Chiesa. Così Gesù “è lo stesso ieri, oggi e sempre”: non cambia. Noi lo conosciamo meglio, di giorno in giorno, vivendo la nostra storia e la storia del mondo.

    Inoltre lo Spirito trasforma i discepoli in testimoni di Gesù. Davanti alle ostilità che incontreranno, i discepoli saranno esposti al dubbio, allo scandalo, allo scoraggiamento: lo Spirito difenderà Gesù nel loro cuore. I discepoli avranno bisogno di certezze, lo Spirito gliele offrirà.

    Lo Spirito è il respiro di Dio, è ciò che fa vivere Dio. Dio ci dona ciò che lo fa vivere: non vuole che l’uomo esista in funzione di Lui, ma che viva di Lui. Non ha creato l’uomo per reclamare la vita, ma per risvegliare la sorgente sommersa di tutte le sue energie.

    Ne ha estremo bisogno questo nostro piccolo mondo stagnante, senza slanci. Lo spirito con i suoi doni dà ad ogni cristiano una genialità che gli è propria. E oggi abbiamo bisogno di discepoli geniali. Ognuno di noi deve credere al proprio dono, alla propria umanità, mettendo a servizio della vita la propria creatività e il proprio coraggio.  

    Nel secondo (Gv 16, 12-15) Gesù specifica l’azione dello Spirito nei giorni della chiesa: trasforma il discepolo in testimone. 

    Li guiderà a tutta la verità. Gesù, che non ha preteso di dire tutto, come invece troppe volte facciamo noi, ha l’umiltà di affermare: la verità è avanti, è un percorso da fare, un divenire. Ecco allora la gioia di sentire che i discepoli dello Spirito appartengono ad un progetto, non ad un sistema chiuso, dove tutto è già prestabilito e definito. Con la guida dello Spirito, i discepoli riusciranno a comprendere sempre di più chi è Gesù, qual è stato il senso della sua vita. C’è un cammino, una progressività che si apre sulla storia della Chiesa. Come i Vangeli non hanno potuto essere scritti senza l’aiuto dello Spirito Santo, così la comprensione dei Vangeli e del loro significato per il futuro della comunità e del mondo, può essere fatta solo sotto l’azione dello stesso Spirito. 

    Lo Spirito riporterà al cuore tutte le parole di Gesù. Lo Spirito è memoria: Lo Spirito ripete le parole di Gesù. Non aggiunge altre personali verità. La rivelazione completa è stata portata da Gesù, perché Lui è la Parola, è la piena rivelazione del Padre. A questa Parola non può essere portato alcun ritocco. Solo lo Spirito però potrà rendere i discepoli capaci di raggiungere la rivelazione divina, facendoli ricettivi alle “cose spirituali”. Interiorizzando la rivelazione di Gesù, la rende presente in tutta la sua pienezza: una conoscenza interiore, viva, attuale e progressiva. Lo Spirito è un ripetitore che spiega l’insegnamento del maestro: rivelare l’amore del Padre nel Figlio. Nelle diverse circostanze della vita, lo Spirito illumina il discepolo su come dovrà comportarsi, in modo da rendere visibile lungo la storia la presenza di Cristo. Così i gesti di salvezza compiuti da Gesù si prolungano nella storia che illuminerà i credenti sull’orientamento da tenere dentro le cronache del tempo, per scoprire e dimostrare il disegno di Dio e il suo piano di salvezza negli avvenimenti del mondo.

    Da duemila anni lo Spirito ripete incessantemente nei cristiani la stessa azione che ha compiuto in Maria: incarnare il Verbo, dare vita alla Parola. Lo sta facendo anche con noi, quando ad esempio leggiamo il Vangelo: tante volte ci accade che le parole scivolino via, come cosa che sappiamo da sempre, senza presa sul cuore. Poi un giorno succede che una di queste parole all’improvviso si accende, ci pare di sentirla per la prima volta: la pagina del Vangelo palpita, come una lettera indirizzata a noi, scritta per noi, contemporanea ai nostri sogni, ai nostri dubbi. E’ lo Spirito che ci ri-corda (ci riporta al cuore) le parole di Gesù. Al cuore, non alla mente. Le fa germe vitale, non elaborato mentale.  

    Questa è la nostra meravigliosa esperienza: essere umani ed essere il respiro di Dio è la stessa cosa. Lo specifico dell’umano è il divino in noi. Se viviamo il progetto di Gesù, anche noi togliamo il male, purifichiamo, liberiamo.

  • ASCENSIONE DI GESÙ NEL PROFONDO DELLA NOSTRA ESISTENZA

    ASCENSIONE DI GESÙ NEL PROFONDO DELLA NOSTRA ESISTENZA

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    ASCENSIONE DI GESÙ NEL PROFONDO DELLA NOSTRA ESISTENZA
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    Mc 16, 15-20

    In quel tempo, [Gesù apparve agli Undici] e disse loro: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno».

    Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio.

    Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano.

    Un amanuense antico, membro autorevole della Chiesa, ha notato che stonava una conclusione del vangelo di Marco con l’espressione: “Avevano paura” (Mc 16,8), e ha pensato bene di continuare il vangelo di Marco (16,9-20) presentando in forma sintetica alcune apparizioni di Gesù, che troviamo descritte dagli altri evangelisti: alla Maddalena (vedi Gv 20,11-18 e Lc 24,10-11), ai due discepoli in cammino per la campagna (vedi Lc 24,13-35), e ai dodici apostoli (vedi Lc 24,36-39). Questa ultima apparizione, insieme alla descrizione dell’Ascensione al cielo, costituisce il vangelo di questa domenica, con tanti riferimenti al vangelo di Matteo e ai primi capitoli degli Atti degli apostoli.

    L’ascensione del Signore è una festa difficile. Come far festa per una persona che ci lascia? Ma Gesù non se n’è andato se non dai nostri sguardi. Non è andato in alto, ma avanti: assente, eppure più presente che mai. L’ascensione del Signore è la celebrazione di due partenze: quella di Gesù verso l’intimo e il profondo; quella degli apostoli, prima chiesa in uscita verso gli angoli della terra, ad annunciare qualcosa capace di scardinare il mondo. Gesù non penetra al di là delle nubi, ma nell’intimo delle creature e di Dio. Gesù, terminato il suo cammino si siede, i discepoli invece iniziano il loro cammino e partono. Gesù sale in cielo, i discepoli vanno nel mondo. La partenza di Gesù è un’altra modalità di presenza: il Signore operava insieme con loro. Anche se il discepolo viene meno, non viene meno la fedeltà di Dio nei suoi confronti.

    Andate in tutto il mondo. Inizia un cammino nuovo, non più del solo Gesù, ma di Gesù e della sua Chiesa. Ma in quale direzione? Siamo protesi verso tutto, ad allargare le braccia per abbracciare ogni cosa, a respirare, in cammino con ogni vivente, il vangelo, la bella notizia, la parola di felicità, a contemplarla nel dilagare in ogni paesaggio del mondo come ossigeno e fresca acqua chiara che trasforma ogni vita che langue. E’ un cammino universale: ciascun uomo, dovunque sia, ha diritto di sentire l’annuncio del vangelo. Per Gesù non esistono vicini e lontani, i primi e gli ultimi: Gesù li invia in tutto il mondo. La passione più grande di Gesù è dare vita ad ogni creatura, in ogni angolo della terra. E per farlo sceglie creature imperfette, dalla fede fragile. Dopo aver criticato la mancanza di fede dei discepoli, Gesù conferisce loro la missione. Così è con noi. Se dovessimo dire del Vangelo solo ciò che riusciamo a vivere, dovremmo tacere subito. Ma noi non annunciamo noi stessi, le nostre conquiste, bensì una parola che ci ha rubato il cuore, un Signore che ci ha sedotto, un progetto, che speriamo, un giorno, di riuscire a vivere. Annunciamo il Vangelo: la vita e la persona di Gesù.

    Allora essi partirono. Sono un gruppetto di uomini impauriti e confusi, un nucleo di donne coraggiose e fedeli. Gesù affida loro il mondo, li spinge a pensare in grande, a guardare lontano: il mondo è vostro. E questo perché ha enorme fiducia in loro: li ha santificati e sa che riusciranno a contagiare di speranza ogni vita che incontreranno. Nonostante abbiano capito poco, abbiano tradito, rinnegato e molti dubitino ancora.

    Il Signore agiva insieme con loro. Attraverso la comunità, Gesù continua la sua missione: Gesù stesso, che visse in Palestina e accolse i poveri del suo tempo, rivelando l’amore del Padre, questo stesso Gesù continua la sua presenza in mezzo a noi, nelle nostre comunità, attraverso di noi. Siamo noi, con la nostra vita, a rivelare la Buona Novella dell’amore di Dio ai poveri. Una comunità, chiamata ad essere testimone della Resurrezione, deve essere segno di vita, deve lottare contro le forze della morte, in modo che il mondo sia luogo favorevole alla vita, deve credere che un altro mondo è possibile. Il vangelo predicato diventa credibile e visibile se i segni che il discepolo compie, lasciano trasparire la potenza di Dio, non quella dell’uomo. Sono segni che riproducono quelli compiuti da Gesù: le stesse modalità, lo stesso stile, gli stessi scopi.

    Questi saranno i segni … Il primo segno è la vita che guarisce, la gioia che ritorna. Possiamo essere certi che la nostra fede è autentica se conforta la vita e fa fiorire sorrisi intorno a noi. Dio ci rende dei guaritori. Un grande testimone: S. Francesco, quando abbraccia il lebbroso. Così anche noi, se ci avviciniamo a chi soffre e tocchiamo, con mani e occhi che accarezzano quella carne in cui brucia il dolore, potremo sentire una sinergia divina, sentire che Dio continua a salvare attraverso di noi. Noi e Gesù: unica energia, una sola forza, una sola linfa, una sola vita. Mai soli! Smettiamola di lamentarci: “Io con le mie forze non ce la farò mai”. Questa, per un cristiano, è una frase insensata. Io non sono mai con le sole mie forze. C’è sempre in me, intrecciata alla mia forza, la forza di Dio. 

    Questo è il Vangelo come l’ha lasciato Marco. Tocca a noi continuarlo, sapendo che si chiuderà soltanto quando il Signore verrà.

  • UN DIO CHE DA SIGNORE E RE SI FA AMICO – Gv 15, 9-17

    UN DIO CHE DA SIGNORE E RE SI FA AMICO – Gv 15, 9-17

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    UN DIO CHE DA SIGNORE E RE SI FA AMICO – Gv 15, 9-17
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    In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.

    Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi.

    Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri».

    Gesù risorto continua a parlare alla sua comunità e le annuncia il “comandamento nuovo”, cioè ultimo e definitivo: che vi amiate gli uni gli altri come io vi ho amati. Lo sguardo si posa subito sulla Croce, sull’amore di Dio per il mondo, per tutta l’umanità. Dio è innanzitutto amore. Come la linfa nella vite, c’è un fluire, un fiume grande di amore che scorre dal cielo: dal Padre al Figlio, dal Figlio a noi. Il Vangelo mi infonde questa certezza: l’amore c’è, discende dall’alto, è un dono che viene da Dio. Ognuno di noi respira amore! Questa relazione d’amore domanda accoglienza da parte nostra, perché, se questo respiro cessa, non si vive.

    “Rimanete”, perseverate nell’amore che è già in voi. Siamo immersi in un oceano d’amore, ma corriamo il rischio di non rendercene conto. A volte lo evitiamo o lo fuggiamo, dimenticando che solo l’amore rende piena di gioia la vita. Proprio la gioia ci assicura che stiamo camminando bene, sulla via giusta. Ma come facciamo a sapere se continuiamo a vivere nell’amore di Dio? Gesù ci insegna un criterio oggettivo per valutare il nostro rapporto di discepoli con Lui e con il Padre: l’amore concreto verso gli altri. Solo facendo il bene agli altri, solo spendendo la vita per gli altri, noi possiamo sapere di rimanere nell’amore di Gesù. Guardiamo allora come trascorriamo le nostre giornate. Quanto tempo dedichiamo al dialogo con Dio che è in noi e che desidera che diventiamo un tutt’uno con Lui. Siamo innamorati di questa presenza di Dio in noi? Ci lasciamo amare da Dio per diventare anche noi soggetti di amore?

    “Come io vi ho amato”. Vivere come ha vissuto Gesù, come Lui ha obbedito al Padre, come Lui è stato fedele al comandamento del Padre e si è donato a noi sino alla fine, così anche noi siamo chiamati a donarci ai fratelli sino alla fine. Gesù è la misura del nostro vivere.

    Gesù ha fatto quello che ha visto fare dal Padre, così noi, suoi discepoli, siamo chiamati a fare come ha fatto Gesù. Dio diventa la misura dell’amore. Non basta quindi solo amare – questo lo fanno molte persone e in molti modi – ma siamo chiamati ad amare come Gesù. Lui, il Figlio che ama il Padre amando i discepoli: Lui può dire di aver amato i discepoli come Dio sa amare. Noi, i discepoli, per amare Gesù, il Figlio, ci amiamo gli uni gli altri e tutti insieme, Gesù compreso, diffondiamo oltre la cerchia della comunità, l’amore, donandoci sino alla fine all’umanità intera. E’ un amore che si dilata per raggiungere tutti. Se invece ci chiudiamo, in noi e attorno a noi qualcosa muore, come quando nel corpo si chiude una vena. E la prima cosa che muore è la gioia. Come Gesù ha risposto all’amore del Padre amando noi, così noi rispondiamo all’amore di Gesù amando i fratelli.

    L’amore di Gesù è gratuito, capace di donare tutto (la Croce). Così, il nostro amore. Nell’amore vissuto dai cristiani, il dare e il ricevere non sono sullo stesso piano. Se amiamo solo nella misura in cui siamo ricambiati, il nostro non è vero amore. E se siamo amati solo nella misura in cui diamo, non ci sentiamo veramente amati. Soltanto se comprendiamo questa gratuità dell’amore, comprendiamo Dio stesso. L’uomo è fatto per donarsi gratuitamente, totalmente: nel farsi gratuità, tocca il suo essere “immagine di Dio”. Dobbiamo tornare ad amare Dio da innamorati, non da servi.

    “Vi ho chiamato amici”. Il discepolo è chiamato ad essere un amico che entra in relazione con Dio. L’amicizia, qualcosa che non si impone, non finge, non si mendica. Dice gioia e uguaglianza: due amici sono alla pari, non c’è uno superiore e uno inferiore, chi ordina e chi esegue. E’ l’incontro di due libertà che si liberano a vicenda. Dio, da signore e re, si fa amico, si mette alla pari dell’amato. Gesù, povero di tutto, non è stato povero di amici. Nel nostro rapporto di amicizia con Gesù, l’amico Gesù cosa ci ha rivelato dell’amore del Padre? Gesù per noi è veramente il nostro grande e vero amico? Lo saremo quanto più condivideremo la sua vita più intima, nella conoscenza dell’amore del Padre e del Figlio, che è lo Spirito Santo.

    Perché portiate frutto: quali frutti dà un tralcio innestato su una pianta d’amore? Pace, guarigione, fervore di vita, liberazione, tenerezza, giustizia: questi frutti continueranno a germogliare sulla terra anche quando l’avremo lasciata. L’unica misura dell’amore è amare senza misura senza porre limiti. Dio ci ha scelto a portare frutto. Quale missione Dio ci ha affidato?  In concreto, nella vita di ogni giorno, cosa siamo chiamati a fare? Non dimentichiamo che questo comandamento nuovo non ci viene dato come una legge, ma come un dono che ci fa partecipare alla vita stessa di Dio.