Autore: Parrocchia di Fontane

  • È L’AMORE CHE HA CAMBIATO E CAMBIA LA STORIA (Gv 14,15-21)

    Vangelo della Domenica VI di Pasqua

    15Se mi amate, osserverete i miei comandamenti. 16Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre, 17lo Spirito di verità che il mondo non può ricevere, perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete, perché egli dimora presso di voi e sarà in voi. 18Non vi lascerò orfani, ritornerò da voi. 19Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. 20In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre e voi in me e io in voi. 21Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi mi ama. Chi mi ama sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui».

    Annunciando il suo ritorno al Padre, Gesù aveva richiesto ai discepoli, per vincere la tristezza, di credere in Dio e anche in lui. Per i discepoli, la partenza di Gesù, avrebbe coinciso con l’inizio del loro intenso impegno nell’annuncio del vangelo. Ma come realizzarlo senza Gesù? Questo li turba e li rattrista. Gesù cerca di far loro comprendere che la separazione non significa disunione, e offre loro un mezzo formidabile: la preghiera. Essa darà loro la capacità di continuare ad agire come Gesù, il Maestro. La preghiera vera porta a vivere in stretta unione con Gesù e il vero discepolo è colui che continua l’opera di Gesù per la salvezza di tutti gli uomini, una salvezza che si concretizza nell’amore sino alla fine. È l’amore che ha cambiato e cambia la storia.

    “Se mi amate”: tutto comincia da una parola carica di delicatezza e di rispetto. Gesù vuole entrare nel nostro cuore, nel luogo più importante e intimo , nel vero santuario della nostra vita. E lo fa con estrema delicatezza: “se”. Possiamo accogliere o rifiutare, in piena libertà. Quando amiamo, tutte le azioni si caricano di gioiosa forza, di calore nuovo, di intensità inattesa. Lavori con slancio, con facilità, come il fiorire di un fiore spontaneo. Ma, se lo amiamo, saremo trasformati in un’altra persona: diventeremo come Gesù.

    Per la prima volta, Gesù chiede esplicitamente di essere amato. Si fa mendicante di amore, rispettoso della nostra libertà, attendendo con speranza il nostro “sì”. Gesù cerca spazi nel nostro cuore, spazi di trasformazione: se lo amiamo, diventiamo come Lui.

    Osservate i miei comandamenti”. Amare Gesù è pericoloso. Se lo amiamo, lo prendiamo come misura del nostro vivere: diventiamo come lui. La nostra vita sarà trasformata: avrà il sapore della libertà, della pace, del perdono. Delle relazioni buone, della bellezza del vivere.

    “Miei” comandamenti. I suoi comandamenti riassumono tutta la vita di Gesù, condensata in un unico comandamento: “amatevi come io vi ho amato”. Non dobbiamo tanto preoccuparci di amare Dio, ma di amare gli altri come ama Dio. Il riferimento è alla persona di Gesù e alla parola che Lui ci ha lasciato, che esprime la sua volontà. Amiamo Dio se siamo disponibili a far sì che la nostra vita sia conforme a ciò che vuole Dio. Il suo amore che ci raggiunge deve diffondersi, espandersi come amore per gli altri; e tutto questo lo viviamo nella gioia di vivere dell’amore di Dio padre, come Gesù.

    “Non vi lascerò orfani”. Non lo siamo ora e non lo saremo mai: Gesù non ci abbandona e non si separa da noi. Questa presenza di Gesù non è da conquistare o da raggiungere, non è lontana. Ci è donata e non verrà mai meno. Noi siamo già in Dio, come un bimbo nel grembo di sua madre. Il bimbo non può vederla, ma ha mille segni della sua presenza, che lo avvolge, lo scalda, lo nutre, lo culla. L’amore vero è la passione di rimanere uniti alla persona amata.

    Non dimentichiamo che è Dio che per primo cerca casa in noi; a noi spetta di lasciarci amare: e questo è facile e bello. Da lì nasce la passione di fare ciò che fa Dio (comandamenti), di respirare a fondo la vita di Dio, in modo da assomigliare sempre più a Dio, con la passione di agire con Lui nella storia, di essere le sue mani, un frammento del suo cuore. Gesù è venuto per farci vivere, “perché abbiano la vita in abbondanza” (Gv 10,10). La sua è anche la nostra missione: essere tutti nella vita, datori di vita.

    Sappiamo vivere come Gesù, in modo che le persone vedendoci, non possano sbagliare, vedendo la presenza di Gesù e l’amore di Dio Padre? Gesù si perde dietro la pecora smarrita, dietro ai pubblicani, le prostitute… ama per primo, ama in perdita, ama senza aspettare di essere ricambiato…

     Il Padre ci manderà lo Spirito Santo (“Paraclito”): un difensore, sostenitore… Difensore della causa di Gesù: sarà accanto ai discepoli nella loro missione di essere testimoni della verità. Continuerà l’opera di Gesù: rivelatore del Padre e del suo progetto di salvezza. Sarà presente nell’urto che l’annuncio del Vangelo creerà con il mondo, scatenando una forte ostilità. Il mondo che non può accogliere lo Spirito, né riconoscere la sua presenza. 

    Gesù assicura che, pur assente fisicamente, non li abbandonerà. La presenza dello Spirito santo, dono del Padre e insieme suo, non li farà sentire orfani. Ci sarà una nuova “esperienza” di Gesù, che il mondo non conoscerà e che invece i discepoli vivranno, fino a vederlo con gli occhi della fede e dell’amore, con gli occhi del cuore. Gesù sarà il vivente, e i discepoli che vivono della sua stessa vita avranno questa conoscenza di Lui. È il veniente a noi, senza apparizioni, ma nella fede. Il segno della nostra accoglienza è quanto più vivremo una pienezza di vita di amore, quanto più questo flusso d’amore si trasformerà in amore verso gli altri, quanto più vivremo la gioia di un amore che sa donarsi a tutti.

  • Preghiera dei fedeli di Domenica 10/05/20

    • Pregare è far fiorire dal caos della storia, la bellezza della creazione.
    1. Dio Padre ti ringraziamo perché misteriosamente ci sei vicino con la tua discreta e viva presenza, condividendo le nostre gioie e dolori. Aiutaci, fra tante voci, ad ascoltare la voce dello spirito che ci invita alla Speranza e a dare senso nuovo alla vita. Preghiamo.
    2. Dio Padre ti ringraziamo per le relazioni nuove di fiducia e collaborazione che stanno nascendo e per la testimonianza di amore eroico di tante persone. Fa che tutto questo rinnovi anche la nostra fiducia nel tuo amore e nel nostro rapporto con i fratelli. Preghiamo.
    3. Ti preghiamo, Padre, per il nostro papa Francesco. La sua parola di speranza ci aiuti a continuare ad aver fiducia nel tuo amore, e lo Spirito santo ci doni la forza per affrontare con gioia e serenità anche la sofferenza e la morte. Preghiamo.
    4. Ti preghiamo, Padre, per tutti coloro che hanno responsabilità nel gestire questa difficile situazione: illuminali, perché sappiano scegliere il meglio per il bene di tutti, soprattutto dei più fragili, e possa nascere un mondo più pieno di fiducia nel futuro e con un nuovo respiro di pace vera. Preghiamo.

    Pregare è affermare che la speranza è più forte dei fatti, più forte della storia.

    È impegno ostinato dell’amore a capovolgere le nostre cronache amare in storie prodigiose.

    È far fiorire dal caos della storia , la bellezza della creazione.

  • TESTIMONI DELLA VERA SPERANZA 14 – ASPETTARE L’IMPOSSIBILE

    Se non aspettiamo l’impossibile, non lo raggiungeremo mai.

    L’angelo Gabriele, nell’Annunciazione, ha detto a Maria: “Nulla è impossibile a Dio”. 

    E così il Figlio di Dio si è fatto bambino, ha avuto bisogno di latte, ha pianto come tutti i bambini… fino ad essere corpo torturato, inchiodato sulla croce.

    La speranza nel futuro è fede nell’impossibile. Guardiamo alcune pagine del Vangelo. (Mc 3). Gesù invita l’uomo dalla mano inaridita: “stendi la mano”. L’uomo non risponde: “ma è impossibile, non ci riprovo neanche”. Invece “fece così”: ci provò, tentò l’impossibile e la sua mano fu guarita. 

    Così Saulo, il persecutore, incredibilmente diventa Paolo, il più grande diffusore del Vangelo. Così la prostituta si trasforma in una donna annunciatrice di Gesù risorto. Così Lazzaro, che ode la voce dal buio di una grotta, ed esce fuori.

    Guardiamo al modo di comportarsi di Gesù con le persone. Ascoltiamo le sue indicazioni impossibili riguardo all’amore: “amate i vostri nemici”. Pensiamo all’impossibile che viviamo nell’esperienza del perdono dei peccati. Quando Dio perdona, il male in noi non esiste più, né esiste in nessun luogo, neppure nella memoria di Dio. Liberiamoci da un’idea immorale di Dio, quando pensiamo che gli archivi di Dio siano pieni dei nostri peccati, che Dio tirerà fuori nel giorno del giudizio. Nel perdonarci, Dio fa un atto di fede in noi e di speranza nel nostro futuro: vede un futuro buono. Se continuiamo a fissare i nostri pensieri sui peccati, mettiamo al centro noi stessi. Guardiamo la nostra vita con gli occhi di Dio e poi agiamo.

      È questo il volto di Dio presente in noi? Guardando al modo di agire di Gesù che credeva nell’impossibile, siamo capaci di fare altrettanto nei confronti soprattutto di chi ha una vita fallimentare? Dio ci perdona, non come un colpo di spugna sul passato, ma come uno innamorato del nostro futuro. E’ così anche il nostro perdono, che si preoccupa delle strategie da mettere in atto perché le persone realizzino questo futuro?Entro domani sera (venerdì), mandate delle brevissime preghiere, in forma di ringraziamento o di domanda, esprimendovi più o meno così: “In questa settimana, illuminato dallo Spirito Santo, vorrei ringraziare Dio Padre per… nella preghiera vorrei chiedere…”

  • IN GESÙ IL CUORE DELL’UOMO TROVA CASA (Gv 14,1-12)

    Vangelo della domenica V di Pasqua

    1«Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. 2Nella casa del Padre mio vi sono molti posti. Se no, ve l’avrei detto. Io vado a prepararvi un posto; 3quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, ritornerò e vi prenderò con me, perché siate anche voi dove sono io. 4E del luogo dove io vado, voi conoscete la via». 5Gli disse Tommaso: «Signore, non sappiamo dove vai e come possiamo conoscere la via?». 6Gli disse Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. 7Se conoscete me, conoscerete anche il Padre: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto». 8Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». 9Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me ha visto il Padre. Come puoi dire: Mostraci il Padre? 10Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me; ma il Padre che è con me compie le sue opere. 11Credetemi: io sono nel Padre e il Padre è in me; se non altro, credetelo per le opere stesse. 12In verità, in verità vi dico: anche chi crede in me, compirà le opere che io compio e ne farà di più grandi, perché io vado al Padre.

    Siamo all’inizio del discorso di addio di Gesù, dopo l’Ultima Cena. Avendo Gesù, dopo aver lavato loro i piedi, annunciato il tradimento da parte di uno dei Dodici e la sua partenza ormai prossima, i discepoli sono ora invasi da paura. Gesù non sarà più in mezzo a loro e con loro: sono dunque nell’incertezza, sapendo che uno di loro è un traditore e che Pietro, “la roccia”, verrà meno nella sua saldezza. E’ notte nei loro cuori, è l’ora della prova della fede, e la crisi della fede è la crisi della comunità, in cui sembra impossibile aver fiducia.

    Gesù invita a non aver paura, e ha una proposta chiara per aiutarli a vincere la paura: abbiate fede nel Padre e anche in me. Il contrario della paura non è il coraggio, è la fede nella buona notizia che Dio è amore e non ti molla. Con forza Gesù invita anche noi a un “no” gridato alla paura e un “sì” consegnato alla fiducia. Sono due atteggiamenti fondamentali anche nei nostri rapporti umani. Noi tutti ci umanizziamo per relazioni di fiducia, a partire dai nostri genitori; diventiamo adulti perché costruiamo un mondo di rapporti edificati sulla fiducia. Se oggi la fede è in crisi, è anche perché è entrato in crisi l’atto umano dell’aver fiducia negli altri, nel mondo, nel futuro, nelle istituzioni, nell’amore. In un mondo di fiducia rinnovata, anche la fede in Dio troverà nuovo respiro.

    Le parole di Gesù risultano incomprensibili ai discepoli, in particolare a Tommaso, e non chiare come a Filippo (Che senso deve avere la partenza di Gesù?). Gesù, prima di sviluppare a lungo il tema dell’amore, li rincuora nel senso della fede. Dal momento che credono in Dio, sono chiamati  a credere anche in Lu. Credere in Dio e credere in Gesù ormai si identificano,sia perché Gesù e il Padre sono “uno”, sia perché Gesù, il Figlio, è il perfetto e definitiva rivelatore del Padre.

    Poi rivela la meta: la casa in cui si crea questa famiglia, un luogo di permanenza, una dimora  e si realizzerà con la sua partenza, risultato del suo infinito amore sino alla morte. 

    “Vi prederò con me, perché siate dove sono io”: c’è un luogo in principio a tutto; un luogo caldo e familiare, un casa il cui segreto basta a confortare il cuore. Lì abita Qualcuno che ha desiderio di noi, nostalgia di noi, che non sa immaginarsi senza di noi e ci vuole con sé. “L’amore è passione di unirsi con l’amato” (San Tommaso d’Aquino). È Dio stesso che dice a ognuno di noi: il mio cuore è a casa solo accanto al tuo. 

    Come si arriva? In mezzo a tanti sentieri, ad uno sventaglio di strade, Gesù dice: la strada sono io.

    Non c’è allora un sentiero, ma una persona da percorrere: seguire le sue orme, compiere i suoi gesti, preferire le persone che lui preferiva, opporsi a ciò cui lui si opponeva, rinnovare le sue scelte. La sua strada conduce a un modo nuovo di custodire la terra e il cuore. È un discorso che va oltre la morte come un passaggio da questo mondo a Dio, a quella casa preparata, e vivere da vero discepolo, seguendo Gesù. E’ il sogno più grandioso mai sognato: finalmente si realizza la conquista di amore e libertà, di bellezza e comunione: con Dio, con il cosmo, con l’uomo.

    La verità è il “Sì” di Dio a tutte le sue promesse. Gesù è questo “Sì”, perché ci rivela perfettamente il senso di quello che Dio ha rivelato e perché lo ha realizzato. Con la sua vita donata, Gesù ci rivela in modo perfetto e definitivo il volto d’amore del Padre e il vero volto dell’uomo.

    La verità non è una definizione o un’idea, cose da sapere, ma una persona: una vita che ha visto che Dio è amore e che oggi la tenerezza di questo amore passa per le nostre mani. Una persona che produce vita, che con i suoi gesti procura libertà. Persona, sempre coraggiosa e amabile.

    La verità è: “Vita – donata”. Non c’è vera vita dove non è possibile vincere la morte. Ora solo Gesù l’ha vinta e la vince in noi. Lui ci fa vivere. Il mistero della nostra esistenza si spiega solo con il mistero di Dio. La mia vita si capisce solo con la vita di Gesù. Più il Vangelo entra nella mia vita, più io vivo. San Paolo affermava: “Per me vivere è Cristo”. Ogni parola del Vangelo ascoltata, assaporata, assimilata, imprime in me il volto di Gesù. Gesù è via nella conoscenza del Padre: mi fa vivere la gioia dell’amore che unisce il Padre e il Figlio. Conoscendo, facendo esperienza di Gesù, io allo stesso tempo faccio esperienza del Padre.

    Gesù, con amarezza, constata che i discepoli non sono ancora a questo punto di fede. Per loro Gesù è un grande profeta. Sono lontani dal pensare che ora il Padre ci parli definitivamente per mezzo del Figlio e, tanto meno, che basti vedere il Figlio per contemplare il Padre.

    Interviene Filippo: “mostraci il Padre e ci basta”. E’ bello che gli apostoli chiedano, che vogliono capire come noi. Anche Mosè sul monte Sinai aveva chiesto di vedere il volto di Dio,  (Es 33,18-23) ma non l’ottenne. Il vangelo dice: “Nessuno ha mai visto Dio, il figlio unigenito, che è sempre accanto al Padre, lo ha rivelato (Gv 1,18). Siamo invitati a guardare quello che Gesù ha fatto (le sue “opere”).

    Anche noi siamo chiamati a guardare a Gesù: come è vissuto, come ha amato, come ha accolto, come è morto; e arriviamo a capire Dio, e in quel momento si dilata la nostra vita.Il ritorno di Gesù al Padre non è allora un chiudersi della sua opera, sarebbe un fallimento, ma è un aprirsi su un avvenire ancora più impegnativo (“Chi crede … ne farà di più grandi”). Questo si compirà per mezzo dei discepoli, della chiesa, anche di noi oggi. Eliminiamo i pensieri di tristezza del presente, e proiettiamoci verso il futuro, pieni di speranza. Tutto dipende da noi, che, sostenuti dallo Spirito Santo, ogni giorno, siamo resi soggetti capaci per la missione.

  • TESTIMONI DELLA VERA SPERANZA 13 – GUARDARE CON L’OCCHIO DEL CONTADINO

    Vorremmo concludere questa sera questo intenso cammino di riflessione sul tema della speranza, che ha trovato risposta gioiosa, risonanze significative che ci siamo comunicati, in un dialogo sincero e carico di fede.

    Abbiamo scoperto nel Vangelo che sono felici solo quelli che: ascoltano la Parola di Dio e la vivono ogni giorno. E questo domanda tempo, verifiche, fatiche, preghiera…

     Per continuare uniti, pensiamo, a cominciare dalla prossima settimana, di organizzarci così:

    –  Al martedì sera, invieremo la riflessione scritta sul Vangelo della domenica (sempre quella successiva). Allarghiamo a chi vuole, l’esperienza dell’Ascolto della Parola di Dio, in attesa anche di poterlo rivivere insieme.

    –   Al giovedì alle 19.15, il video messaggio continuando le riflessioni sul tema della speranza.

    –    Raccoglieremo fino a venerdì sera, le risonanze interiori, per trasformarle in preghiera, da rivolgere a Dio nella celebrazione della S. Messa della domenica. L’Eucarestia è il nostro ringraziamento a Dio Padre, attraverso l’offerta del sacrificio di Cristo, a cui è unita la nostra vita e la nostra storia.

    Chi desidera, molto brevemente, è invitato a esprimersi più o meno così: 

    In questa settimana, illuminato dallo Spirito Santo,

    – vorrei ringraziare Dio Padre per …

    – nella preghiera vorrei chiedere …

    Uniremo tutte le preghiere per la celebrazione della S. Messa della domenica. Ve le manderemo sabato sera, in modo che le facciate vostre. 

    Esprimete la vostra opinione su tutto questo, su queste scelte …

    Ora un ultimo pensiero, che diventa preghiera. Chiediamo a Dio di aver l’occhio del contadino nel guardare la storia con speranza. L’occhio profano vede un campo di zolle aride, l contadino invece, vede che fra poco arriverà il germoglio e il frutto. Siamo invitati a vedere i virgulti di speranza della nostra storia. Non dimentichiamo:  La speranza viene a noi con piccole e povere cose, non con i bagliori di improvvisi prodigi. Viene con quella semplicità che hanno tutte le cose più essenziali e necessarie, l’aria, la luce, l’acqua, il respiro. Viene come germoglio in cui pulsa la forza dell’albero alto. (E. Ronchi)

  • TESTIMONI DELLA VERA SPERANZA 12 – COSTRINGERE IL MALE AL SERVIZIO DEL BENE

    Noi sappiamo che tutto concorre al bene per quelli che amano Dio. Il progetto di Dio è costringere il male a servire il bene, compreso il peccato. (Is 53,5: per le piaghe di uno solo giusto, noi tutti siamo guariti. 

      Dio ama la vita di ciascuno di noi, più della nostra fedeltà e coerenza. E’ il bene che ha la forza di trascinare con sé verso l’alto, il male. Il buon grano conta più di tutte le erbacce del campo. Se noi viviamo da giusti, diventiamo salvaguardia dell’umanità. I giusti sono la riserva di speranza per la nostra storia, i buoni trascinano la terra verso la vita.

      Per sperare, bisogna essere molto felici, non essere come Shakespeare che scriveva: La vita non è che una favola sciocca raccontata da un idiota che si agita sulla scena, piena di rumore e di furore, ma che non significa nulla. Noi vogliamo dare senso alla vita.

      Ogni persona deve fare la sua ricerca per trovarlo: L’uomo, per essere felice, deve donare. (Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito (Gv 3,16). Viviamo, se siamo datori di vita. Il Regno di Dio è la terra come Dio la sogna. 

      Guardiamo come Gesù si avvicinava ad ogni persona: faceva sue le piccole speranze che avevano (la suocera di Simone a letto con la febbre, la donna curva, l’uomo dalla mano inaridita, la paura di Nicodemo  che va da Gesù di notte). Anche noi siamo chiamati a captare le piccole speranze ben presenti in tante persone: degli anziani, di chi è solo, degli immigrati, per dare il nostro aiuto in modo che si realizzi un piccolo benessere atteso, un piccolo miglioramento sognato. La vita promessa non è estranea alle promesse di vita. 

      La fragilità diventa così opportunità di speranza. La cura di Gesù: a queste situazioni di fragilità e incompiutezze sapeva dare speranza, passando attraverso la debolezza, con la forza dell’amore. Anche la nostra cura dovrà essere passione e vero amore, come avete già sottolineato anche voi. Così tutto concorrerà al bene. Saremo più forti di qualsiasi sofferenza e soprattutto delle realtà negative presenti nella nostra storia. Il nostro servizio è che tutto concorra al bene.

  • TESTIMONI DELLA VERA SPERANZA 11 – OGNI GIORNO SVEGLIARE LA SPERANZA

    Molte persone vedono nell’oggi un senso di smarrimento, l’assenza di punti di riferimento, di apertura al futuro. La più grande epidemia del nostro tempo è la superficialità, condizionata soprattutto dall’enorme potere della televisione e dei mass media , che mostrano senza approfondire. Ci si impantana nel groviglio del presente, non si guarda al filo rosso della storia che è saldo nelle mani di Dio e che ci dà la certezza che tutto avrà un esito positivo. Pensiamo a Martin Lhuter King: “Io ho un sogno”, ed è sorta una nazione diversa.
    Il senso della crisi è lasciare cadere la pelle vecchia, perché non risponde più, e indossare una pelle nuova, un nuovo volto. Quell’inizio quell’annuncio di novità proclamato dai profeti, dove Dio penetrando nelle crepe della terra, dà inizio ad una storia nuova.
    Ma come far emergere il nuovo? E’ il futuro che dà ordini al presente. Guardiamo il grano: spunta, non perché il contadino ha fatto benne il suo lavoro, ma perché è come attratto dalla spiga futura. Se noi pensiamo: quello che è successo oggi, è come quello che è successo ieri, e così succederà anche domani, non stiamo vivendo di speranza. La speranza ci dice quello che siamo chiamati a fare dentro qualsiasi situazione. Non è ottimismo (tutto andrà bene), ma la certezza di un futuro ben saldo, perché è nelle mani di Dio.
    Noi siamo coloro che non hanno finito di essere creati, siamo ancora nelle mani di Dio che continuamente ci trasforma. Immaginiamo, perché a volte ci troviamo così, di essere come un’anfora spezzata. Dio è il vasaio capace non solo di riparare, di reimpastare la creta, trasformando, ma Dio non butta mai via niente. E anche quei cocci che sembrano inutili, lui li prende, li dispone in modo diverso, perché attraverso di essi scorra l’acqua. Riprende ciò che è rotto per farne un canale.
    Dio crede che la nostra storia, la nostra vita è un cammino di salvezza. Dio crede che per tutti c’è la possibilità di una vita bella, buona, gioiosa. Questa è la speranza che ogni giorno siamo chiamati a diffondere intorno a noi. Come realizzare questo servizio, di cui l’umanità ha estremo bisogno?

  • TESTIMONI DELLA VERA SPERANZA 10 – SCOPRIRE LA SPERANZA NELLE PIEGHE DELLA QUOTIDIANITÀ

    La speranza deve illuminare la nostra vita. Porta però i segni della povertà e della piccolezza che si affidano alle nostre mani per diventare seduttrice dell’umanità.

    Abbiamo scoperto l’importanza che hanno le nostre fragilità di creature. Ora proviamo ad illuminarle più profondamente. I sogni della nostra vita ci hanno portato a soffermarci sulle realizzazioni, sui momenti importanti che abbiamo vissuto. Guardiamo al futuro più o meno con questa immagine: la nostra vita come un bellissimo abito da sposa, non come l’abito del povero, fatto di scampoli, di stracci. In questa maniera però avremo in noi un volto di Dio illusorio.

    Dio infatti, parlando di sé, sceglie immagini di cose umili (gallina,  agnello…). Così, con cose umili egli agisce. Pensiamo ad Elia disperato nel deserto (1Re 19): si sente fallito nella sua missione, dice che è meglio morire, che continuare a vivere da perseguitato.  Dio lo raggiunge, e donandogli pane e acqua (cose insignificanti, da carcerati) e una carezza, lo fa camminare con le sue gambe, ritornando ad essere profeta protagonista.

    Dio è così. Gesù ce l’ha detto paragonando il Regno di Dio al lievito, al granellino di senape. Tutto si concentra sulla crescita. Il segno di questo passaggio dal minuscolo al grande, rivela il Regno. Dio ama racchiudere il grande nel piccolo. La meraviglia è lo stupirsi di questa crescita incredibile. La speranza è qui: scoprire e valorizzare le piccole cose di ogni giorno. La speranza ci sveglia ogni mattina: ci viene incontro con le cose semplici della vita, anche con quelle che sembrano inutili: aria, luce, acqua, respiro … Ci viene incontro con una telefonata, con un rimprovero,  con una notizia, un amico, un libro… e chissà perché ripartiamo. Così siamo invitati ad uno sguardo verso gli ultimi, che spesso sono i portatori di sèperanza.

    La speranza è qui: scoprire e valorizzare le piccole cose di ogni giorno, stupirsi per le meraviglie che producono e in esse scorgere la presenza di Dio.

    Allora un po’ alla volta, gli scampoli, gli stracci della nostra esistenza, si trasformano in un bellissimo abito da sposa. 

    Ma, per far questo, dobbiamo ogni giorno, svegliare la speranza. Ne parleremo domani.

  • GESÙ, IL PASTORE CHE CONDUCE VERSO LA VITA SENZA CONFINI (Gv 10,1-10)

    Commento al Vangelo IV domenica di Pasqua

    1«In verità, in verità vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore per la porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. 2Chi invece entra per la porta, è il pastore delle pecore. 3Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore una per una e le conduce fuori. 4E quando ha condotto fuori tutte le sue pecore, cammina innanzi a loro, e le pecore lo seguono, perché conoscono la sua voce. 5Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei». 6Questa similitudine disse loro Gesù; ma essi non capirono che cosa significava ciò che diceva loro. 7Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità vi dico: io sono la porta delle pecore. 8Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. 9Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo. 10Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza.

    Peccato è pensare di non aver bisogno della luce (Spirito Santo) per credere. Gesù desidera aprire i nostri occhi perché arriviamo alla fede in Lui, Figlio di Dio e lo contempliamo nel suo amore con l’immagine del buon pastore. Credere in Gesù è credere che Dio Padre, nel suo amore, ci ha donato come Messia il Figlio suo perché, credendo in Lui e accogliendolo come Salvatore e Signore, potessimo con Lui e in Lui avere la vita eterna.

    Gesù si trova A Gerusalemme per celebrare la festa della Dedicazione del tempio, dopo la guarigione in giorno di sabato di un cieco nato, c’è uno scontro tra Gesù e alcuni farisei. Grazie alla fede, donata da Gesù che lo ha cercato, il cieco giunge a vedere, mentre le guide religiose appaiono cieche, incapaci di riconoscere in Lui, la missione di Dio. Anche noi siamo chiamati a fare la grande scelta: rifiutare o accogliere Gesù, ben sapendo che l’accoglienza ci coinvolge nel suo destino di morte e resurrezione.

    Gesù allora racconta questa parabola del pastore, ma non capirono quello che diceva loro.

    Sulle montagne attorno a Gerusalemme non mancavano certamente i recinti per le pecore: avevano muriccioli tutto intorno e una porta stretta, per contare le pecore quando entravano o uscivano. I pastori erano soliti affidare, di notte, le loro pecore ad un custode. Al mattino si presentavano al custode che apriva loro la porta del recinto ed essi chiamavano le loro pecore. Le pecore conoscevano la voce del loro astore e perciò non seguivano gli estranei. Mentre uscivano, i pastore le contava per essere sicuro che ci fossero tutte. Di notte c’era la possibilità che, scavalcando il recinto, ladri e banditi facessero razzia di pecore.

    Recinto (aulè) richiama il luogo dove si trovava la Tenda del convegno durante l’Esodo, poi i cortili del tempio. Il portinaio (thuroròs), il custode delle porte del tempio. Gesù quindi fa riferimento alle istituzioni di Israele. Dio è conosciuto come il “custode e pastore d’Israele”. (“Il Signore è il mio pastore” …salmo 23). Le istituzioni di Israele consideravano la Legge come un sistema chiuso in sé stesso: si entra e basta! Le pecore sono allora l’intero popolo di Israele, dominato, tiranneggiato dai suoi dirigenti mediante interpretazioni normative che erano un peso gravoso, che sessi non osavano neppure muovere con un dito. Ma ecco il pastore vede una porta … Egli si presenta alla porta e chiama le sue pecore per nome e le fa uscire per andare altrove. Chiama le sue, che, come i discepoli, rispondono seguendolo. ( Gli uditori non comprendono e Gesù allora spiega …)

    Gesù è il Pastore e il Padre il guardiano che gli apre. Il Padre gli ha dato le pecore, le ha messe nelle sue mani. Il Padre riconosce Gesù come pastore unico del gregge. La porta non è quella dell’ovile, ma del tempio: nessuno può entrare nella casa di Dio e incontrarsi con Dio se non per mezzo di Gesù. Gesù è il vero e unico luogo d’incontro con Dio. Gesù è l’unico mediatore di salvezza, l’unico che può liberarci (come con Mosè dalla schiavitù alla libertà), per mezzo suo si può fare esperienza di libertà, si può accedere alla vita.

    Il buon pastore  chiama le sue pecore, ciascuna per nome. Io sono un chiamato, con il mio nome unico pronunciato da Gesù come nessun altro sa fare, con il mio nome sicuro sulla sua bocca, tutta la mia persona sicura con lui. E le conduce fuori. Non le porta da un recinto all’altro, dalle istituzioni del vecchio Israele a nuovo schemi migliori. Il nostro non è un Dio dei recinti chiusi, ma degli spazi aperti, di liberi pascoli. Non un pastore di retroguardia, ma una guida che apre cammini e inventa strade, è davanti a noi e non alle spalle. Non un pastore che rimprovera e ammonisce per farsi seguire, ma uno che precede e seduce con il suo andare, che affascina con il suo esempio: pastore di futuro, pastore di libertà e di fiducia.

       A chi va con Lui, che è la porta, il passaggio, Gesù promette di far fiorire la vita in pienezza: l’uomo diventa Figlio di Dio, e vive di vita divina, dona eternità a tutto ciò che di più bello portiamo nel cuore. Ciò è possibile perché Lui, buon pastore, dà la vita per le pecore, non solo quella smarrita, ma anche per quelle che restano nel recinto, cioè fa del suo vivere, del suo esistere sino alla morte, un dono che è vita per tutti. Cristo è questa soglia spalancata che mette nella terra del vero amore. Lui è venuto perché abbiamo la vita piena, abbondante, gioiosa. Vita che profuma di coraggio e di libertà. Cristo non è venuto a pretendere, ma ad offrire, non chiede niente, dona tutto. Questa è anche la nostra vocazione: essere datori di vita.

       Da questa conoscenza reciproca tra pastore e pecore, nasce il vero rapporto di amore. Le pecore giungono a riconoscere il pastore come colui che ha cura di loro perché le ama. Ascoltando il pastore, si vive un’esperienza meravigliosa: ci si sente amati da Dio, compresi, perdonati da un amore che è sempre misericordia.

    Tutt’altro è il modo di vivere del “pastore salariato”, che svolge il suo compito solo per il salario. Era la maniera di agire dei maestri della legge che concepivano la loro relazione con il popolo in termini di profitto, di potere, di dominio, non di servizio; di privilegio, non di donazione. Chiediamo che a partire dai pastori, ma anche tutto il gregge (la chiesa) viva questo amore gratuito, in modo da non sfigurare il volto di Cristo buon pastore.

      Soffermiamoci nella contemplazione di Cristo buon pastore, nella pienezza di vita che siamo chiamati a vivere, e nel nostro rapporto d’amore con Cristo.

  • TESTIMONI DELLA VERA SPERANZA 09 – PASSARE DAI “SE” AI “SI”

    Lo spunto viene da una riflessione di Papa Francesco, che mette in evidenza il pericolo nelle nostre riflessioni di fermarci al nostro io e di non cercare e scegliere la via di Dio.

    La vera preghiera, come lo è stata quella di Gesù e che ci ha insegnato, è conoscere ogni giorno come sono chiamato a realizzare le scelte di vita, ad es. la missione di genitore chiamato ad educare alla speranza. Subito il pensiero va alle nostre fragilità, ai nostri limiti: sono segni di fallimento o una opportunità?

    Le nostre fragilità ci sollecitano nel vivere la fede: nella preghiera chiediamo a Dio che rimanga con noi, non solo col suo aiuto, ma anche con quella luce capace di guidarci nella realizzazione della nostra vocazione. I limiti che abbiamo, alla luce della Parola di Dio, sono qualcosa di prezioso (“beati i poveri”, cioè coloro che si riconoscono fragili, e così possono vivere l’esperienza della presenza di Dio). Non si è bravi genitori, guardando solo le nostre capacità, le cose significative che facciamo.

    Lo siamo in maniera più autentica (siamo di più nella verità)  se, pur constatando che i figli vedono le nostre fragilità, noi sappiamo non solo riconoscerle, ma indichiamo loro che la nostra forza è il vivere uniti a Cristo. Le nostre fragilità diventano un’occasione preziosa per educarli a cercare anche loro dove si trova il vero aiuto, che riesce a far superare le difficoltà della vita. Può addirittura nascere un dialogo familiare per aiutarsi nel vivere questa esperienza, soprattutto nel buio di certi momenti della vita.

    La preghiera allora diventa: chiedere luce (Spirito santo) per  come siamo chiamati a realizzare la nostra vocazione, chiedere aiuto in quanto crediamo che con la presenza di Gesù niente è impossibile, e così riuscire in qualsiasi situazione a vivere nella gioia e nella speranza, ringraziare…  Importanti sono i momenti di silenzio e di ascolto della Parola di Dio, anche perché viviamo spesso l’esperienza di incontrare Cristo senza accorgercene. Pregare è passare dai “se” ai “sì”.

    Siamo d’accordo? Arricchiamo queste riflessioni con le nostre,. Comunichiamole prima di mezzanotte. Saranno utili per continuare il nostro dialogo.