Nel nostro dialogo con Dio è sempre da verificare il volto di Dio presente nei nostri pensieri: corrisponde a quello che Cristo ci ha rivelato? (I discepoli di Emmaus passano dalla tristezza, dal sentirsi dire: “stolti e tardi di cuore” all’innammorarsi del vero volto di Dio: “non ci ardeva il cuore” e a pregare “resta con noi”).
Nella preghiera partiamo sempre dalla nostra situazione di vita e dalle provocazioni che la Parola di Dio suscita in noi. Non dobbiamo aver fretta, quando il nostro modo di vivere è sollecitato a nuovi orientamenti e a scelte di conversione. Cristo è paziente, rispetta i nostri tempi, ascolta le nostre inquietudini. La preghiera è parlare con Dio di tutto questo.
Dio non solo ci ascolta, ma, se siamo attenti, ci risponde e ci dona quella risposta giusta alle nostre inquietudini.
Le riflessioni sull’educazione alla speranza hanno suscitato diversi interrogativi. Ci accorgiamo che è difficile educare alla verità, non giudicare, non aver paura… Come genitori, oltre alle difficoltà educative collegate con la nostra storia, c’è il problema della testimonianza di vita che deve fare i conti con le nostre fragilità umane. L’interrogativo: come vivere la nostra missione di genitori?
Cominciamo allora a dialogare con Dio di quello che stiamo vivendo. Subito forse presenteremo le lamentele per le difficoltà che stiamo incontrando, magari ripercorrendo la nostra storia (se quella volta avessi… se in quell’occasione…). Probabilmente emergerà non la gioia della vita, ma il suo grigiore, le preoccupazioni, la tristezza. Tutto questo è importante, necessario nel nostro dialogo con Dio, ma se ci fermiamo qui, a questi “se”, non stiamo veramente pregando.
Domani sera continueremo: Come passare dal “se” al “sì”. Mandate, il più presto possibile, le vostre riflessioni.
Invito i ragazzi delle medie a disegnare un momento del racconto dei Discepoli di Emmaus e inviarlo alle loro catechiste. Lo pubblicheremo nei prossimi incontri.
Ci è stato richiesto, in questa nuova situazione di vita, dove mancano gli appuntamenti comunitari della preghiera, un aiuto su come trasformare la vita, l’ascolto della Parola in preghiera. Proviamo ad aiutarci.
Ho scelto il brano del vangelo di Mc 4,35-41, come sfondo per la nostra riflessione. Lo potete poi leggere. Lo richiamo brevemente: Gesù invita i discepoli a passare all’altra riva, nonostante una grande tempesta di vento. Lui dorme a poppa. Svegliato, li rimprovera, calma il vento e raggiungono la riva.
Le barche erano tranquille al porto, in riva al lago. Le barche però sono fatte per navigare, anche affrontare le tempeste, non possono stare ferme. Il loro posto è il mare aperto, dove prima o dopo le acque saranno agitate e il vento contrario. Così è la nostra vita. Non è vita rimanere immobili in rada. Non basta insegnare le regole di vita, ma bisogna trasmettere la passione. Ogni persona è fatta per il mare aperto, per il navigare in alto mare, non per rimanere tranquilli in porto.
Gesù stanco, si addormenta, dorme. Anche le situazioni del mondo con tutti i problemi, anche di convivenza, ci portano a pensare a un Dio che dorme. Vorremmo, presi dalla paura, che intervenisse subito, ai primi segni di fatica, appena arriva il dolore. Lui invece non interviene, non toglie dalle tempeste. E’ presente, è sempre lì e guarda i rematori che con coraggio non abbandonano i remi e fanno tutto con il massimo impegno, e così arrivano all’altra riva. Il modo di educare di Gesù: ognuno deve vivere come se tutto dipendesse da sé. Pur presente, non interviene, e così un po’ alla volta si forma la personalità di quei discepoli esperti, ma paurosi, e diventeranno capaci di affrontare le tempeste della vita fino al coraggio di testimoniare anche con la morte.
E’ così il nostro modo di educare? Oppure siamo sereni solo se i figli, i nipoti rimangono tranquilli in casa, e siamo pieni di paura quando iniziano esperienze nuove? Corriamo il rischio di compromettere il formarsi della loro personalità. Non li aiutiamo ad affrontare con serenità il futuro.
Proviamo ora, dopo aver confrontato il nostro modo educativo con quello di Gesù, a scrivere quello che vorremmo dire a Dio. Trasformiamo quello che risuona dentro di noi in preghiera. Chi desidera, comunichi la sua preghiera. E’ un prezioso aiuto per imparare a pregare.
Domenica vi invitiamo a partecipare alla concelebrazione dei vostri sacerdoti: la S. Messa sarà alle 9.30. Riprenderemo poi lunedì.
Dal Vangelo secondo Marco 4,35-41
35 In quel medesimo giorno, verso sera, disse loro: «Passiamo all’altra riva». 36 E lasciata la folla, lo presero con sé, così com’era, nella barca. C’erano anche altre barche con lui. 37 Nel frattempo si sollevò una gran tempesta di vento e gettava le onde nella barca, tanto che ormai era piena. 38 Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: «Maestro, non t’importa che moriamo?». 39 Destatosi, sgridò il vento e disse al mare: «Taci, calmati!». Il vento cessò e vi fu grande bonaccia. 40 Poi disse loro: «Perché siete così paurosi? Non avete ancora fede?». 41 E furono presi da grande timore e si dicevano l’un l’altro: «Chi è dunque costui, al quale anche il vento e il mare obbediscono?».
Le riflessioni che abbiamo fatto finora sono come il fondamento irrinunciabile nel cammino d ricerca della vera speranza, capace di sconfiggere le paure. Ora vogliamo soffermarci a guardare come viviamo, nella concretezza dell’oggi, alcuni impegni significativa e chiederci se siamo testimoni di speranza.
Questa sera ci domandiamo: Come educare alla speranza?
Educatore vero è chi non ha paura, a cominciare dalla paura dei giudizi, anche perché viviamo di riflesso di ciò che gli altri dicono di noi. Ricordiamo che fede e paura convivono in noi e ci domandano continuamente di scegliere: più aumenta la fede e più diminuisce la paura e viceversa.
Educatore vero è chi non fa paura, chi non educa accentuando la colpa o il castigo, chi non presenta un cristianesimo triste, il volto di un Dio senza gioia. Non certo chi addirittura prova gioia nell’intimidire gli altri.
Educatore vero è chi libera dalle paure. Non c’è da colpevolizzare nessuno per le sue paure. Non sappiamo perché si alzano tempeste nella vita. Vorremmo che non sorgessero mai, che il viaggio della vita fosse tranquillo e facile, in particolare lo vorrebbero i genitori per i figli. Il pericolo è di essere contenti quando gli altri (i figli) pensano pensieri già pensati, e non preoccuparci di educare a cercare la verità. La verità è sempre un divenire, un crescere, un incamminarsi progressivo, un affrontare le difficoltà. Per quanto riguarda la vita dobbiamo ricordarci che Dio non ci togli dalle tempeste, ma ci sostiene dentro le tempeste. Dio non risolve i nostri problemi, ma è con noi, ci dà tutto quello che ci serve perché sappiamo risolverli.
Dentro di noi su questo argomento ci sono altri pensieri. Interveniamo, mettiamo in risalto nel concreto della vita le difficoltà per realizzare questa missione.
Domani sera continueremo a riflettere, anche su richiesta di qualcuno di voi, su come trasformare l’ascolto della Parola, comprese le nostre riflessioni in preghiera. Un brano del Vangelo ci aiuterà.
Per superare le paure, non solo dobbiamo contemplare il vero volto di Dio Padre, che come abbiamo visto è bontà e misericordia, ma dobbiamo vivere consapevolmente la vita stessa di Dio, che Gesù Cristo, morendo in Croce , ci ha donato. Col Battesimo infatti siamo figli di Dio, siamo resi partecipi della vita di Gesù: “essere-per-altri”, fino alla morte: questa è l’onnipotenza, l’onniscienza, l’onnipresenza, questa vita è Dio.
Il vero rapporto con Dio consiste nel vivere questa nuova vita: “essere-per-altri”, così partecipiamo all’essere di Gesù, siamo uniti a Lui. Il trascendente allora non è l’impegno infinito, irraggiungibile, ma il prossimo che incontriamo, che è raggiungibile, Dio in forma umana: “l’uomo per altri” e perciò il Crocifisso.
C’è un virus, ha detto papa Francesco, che si sta trasmettendo: il pensare che la vita migliora se va meglio per me, che tutto andrà bene se andrà bene per me. Si scartano i poveri, i deboli, si dimenticano coloro che rimangono indietro (Gesù ha aspettato Tommaso).
Nella misericordia Dio non abbandona chi rimane indietro. Ora, una piccola parte dell’umanità è andata avanti, mentre la maggioranza è rimasta indietro, abbandonata un po’ da tutti. Questa situazione fa paura, guardando il futuro. Ma concretamente cosa deve cambiare, perché il nostro vivere sia come quello di Gesù, quello di Dio: “essere-per-altri”? Come progettare il nuovo modo di vivere dell’umanità? Ricordiamo che solo questo modo di vivere porta i segni dell’eternità, porta la gioa e fa scomparire tante paure.
Prima di affrontare le singole paure presenti nella nostra vita, ogni giorno, è importante illuminare la paura della morte. Tutti siamo chiamati a fare questo passaggio: “devo morire”. Ma come viverlo? Ultimamente questo passaggio ci fa ancora più paura: o per il prolungarsi delle sofferenze che lo accompagnano, o, come in questi giorni, per la solitudine in cui è vissuto. La realtà della morte coinvolge tutti: giovani, adulti, anziani; ricchi e poveri, buoni e cattivi…
Abbiamo estremo bisogno di illuminare questa realtà, che altrimenti ci fa solo tremendamente paura, anche se spesso allontaniamo questo pensiero. Siamo un po’ nella situazione dei discepoli mentre vanno ad Emmaus: “Noi speravamo …”). Gesù ci invita ad ascoltare anche noi la Parola: Guardiamo a Lui, che parlando della sua morte, ha sempre messo davanti il deve (“Il Figlio dell’uomo deve soffrire, morire …) per arrivare nella gloria.
Anche noi siamo chiamati ad interrogarci su questo “deve”: un giorno passeremo anche noi attraverso la morte, per arrivare alla gloria. Ma come lo passeremo? Con lo sguardo verso questo futuro di gloria che ci attende, credendo all’amore del Padre e alle parole di Gesù a Marta: “Io sono la resurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà”e, ripieni della Speranza che Gesù ha messo dentro di noi, lo passeremo con la certezza che Dio sa volgere tutto al bene, perché, persino dalla tomba, fa uscire la vita. Gesù è uscito dalla tomba per noi, per portare vita dove c’è morte. Dio non ci lascia soli. Crediamo questo? Quanto è difficile questa speranza! Quanto è difficile comunicarla agli altri!
Domani continueremo, illuminando il mistero della “vita eterna” che è in noi.
13Ed ecco in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio distante circa sette miglia da Gerusalemme, di nome Emmaus, 14e conversavano di tutto quello che era accaduto. 15Mentre discorrevano e discutevano insieme, Gesù in persona si accostò e camminava con loro. 16Ma i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo. 17Ed egli disse loro: «Che sono questi discorsi che state facendo fra voi durante il cammino?». Si fermarono, col volto triste; 18uno di loro, di nome Clèopa, gli disse: «Tu solo sei così forestiero in Gerusalemme da non sapere ciò che vi è accaduto in questi giorni?». 19Domandò: «Che cosa?». Gli risposero: «Tutto ciò che riguarda Gesù Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; 20come i sommi sacerdoti e i nostri capi lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e poi l’hanno crocifisso. 21Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele; con tutto ciò son passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. 22Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; recatesi al mattino al sepolcro 23e non avendo trovato il suo corpo, son venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. 24Alcuni dei nostri sono andati al sepolcro e hanno trovato come avevan detto le donne, ma lui non l’hanno visto». 25Ed egli disse loro: «Sciocchi e tardi di cuore nel credere alla parola dei profeti! 26Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». 27E cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui. 28Quando furon vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. 29Ma essi insistettero: «Resta con noi perché si fa sera e il giorno gia volge al declino». Egli entrò per rimanere con loro. 30Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. 31Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma lui sparì dalla loro vista. 32Ed essi si dissero l’un l’altro: «Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?». 33E partirono senz’indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, 34i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone». 35Essi poi riferirono ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane.
La strada di Emmaus è metafora della nostra vita: racconta di cammini di delusioni, di sogni in cui avevamo tanto investito e che hanno fatto naufragio. Ci racconta di Dio che ci incontra non in chiesa, ma nei luoghi della vita, nei volti, nei piccoli gesti quotidiani.
Gesù aiuta i due discepoli diretti ad Emmaus a capire quanto è avvenuto a Gerusalemme, ricordando quanto hanno detto i profeti. Gesù aiuta a dissipare ogni dubbio per costituire i discepoli, testimoni della sua resurrezione.
Sulla via di Emmaus ci viene presentata la partenza e il ritorno di due discepoli a Gerusalemme, dove raccontano la loro esperienza. I due non conoscono soltanto quello che era capitato a Gesù, ma anche l’esperienza che le donne, recatesi al sepolcro, avevano avuto quella stessa mattina. Tutto era sembrato fantasticherie e frutto di delirio. Per loro Gesù era morto, e apparteneva ormai ad un tempo che non poteva più ritornare. Per i due discepoli, che abbandonano Gerusalemme, tutto era finito. Si chiudeva una storia, si ritorna a casa. Si abbandona la città d Dio, si esce dalla storia, si rientra nella normalità del quotidiano.
Mentre se ne stanno andando, Gesù li raggiunge. Dio non accetta che ci arrendiamo, che abbandoniamo il campo. Con Dio c’è sempre un dopo. Egli è per le strade del mondo, rallenta i suoi passi al ritmo dei nostri, quando sulla nostra fede scende la sera. Il Signore ci raggiunge nelle nostre vicende quotidiane.
I discepoli però non lo riconoscono, mentre si fa compagno di strada. Hanno dimenticato il vero Gesù, che li invitava a guardare al futuro oltre la morte, li invitava alla speranza. Per loro, con la sepoltura, erano finite le sue parole di speranza. Gesù però è lì accanto a loro e cammina con loro.
Il cammino che deve fare ognuno di noi e ogni comunità per riconoscere Gesù presente.
1. Ricordare i fatti (24,17-24) I due non avevano capito la Croce. L’avevano vista come un incidente, non la pienezza dell’amore. Il pellegrino li aiuta a elaborare la loro tristezza, mentre raccontano quello che è accaduto. Sente che continuano ad amarlo, anche se disillusi. Li aiuta nella ricerca, dà loro la possibilità di sfogarsi, rasserenarsi e focalizzare meglio il problema. Gesù aveva suscitato il loro entusiasmo e la loro speranza: “speravamo che Egli avrebbe liberato Israele da tutti i suoi nemici”. Le cose erano andate diversamente e ora sono già passati tre giorni dalla sua crocifissione e nessuno l’ha più visto. Quello che non capiscono è la Croce. Per loro sembra assurdo, non vedono la mano di Dio posata sulla Croce: è così nascosta da sembrare assente. Eppure la mano di Dio più è nascosta e più è potente. E la mano è posata dove tutto sembra impossibile e assurdo, proprio sulla Croce.
2. Confrontare i fatti con le Scritture (24,25-27). Nell’idea dei due discepoli, il Messia non poteva morire sconfitto, doveva trionfare sui nemici. Solo confrontando le Scritture si può scoprire che la Croce non è un incidente, ma la pienezza dell’amore. I discepoli si sono fermati alla tomba, non hanno creduto all’annunzio delle donne che affermavano di aver ricevuto la rivelazione che Lui era vivo. I due camminatori ascoltano: “Il Messia doveva morire”: qualcosa di già compiuto, in obbedienza ad un disegno divino e dove, mediante la sofferenza, Cristo è entrato nella gloria. La sua passione è stata un vero “esodo”, una vera pasqua, un passaggio da questo mondo al Padre, dove Dio ha esaltato il Figlio e lo ha fatto sedere accanto a sé nella gloria.
Il primo miracolo si compie già lungo la strada: non ci bruciava il cuore, mentre ci spiegava le Scritture? Trasmettere la fede è accendere i cuori, contagiare di calore e passione. E dal cuore acceso dei due pellegrini escono le parole più belle che sappiamo: resta con noi, Signore, perché si fa sera: quando scende la sera nel cuore, alla fine di una giornata, alla fine della vita. Resta con noi e con quanti amiamo, nel tempo e nell’eternità. Domandiamoci: a che punto siamo nel cammino della nostra fede, nell’ascolto della Parola di Dio, illuminata da Cristo, che ne è l’interprete? La resurrezione la croce presente nella nostra vita, nella nostra storia?
3. Spezzare insieme il pane (24,28-35) I due discepoli ora sentono che quel viandante (Gesù) è loro amico e non vogliono che li lasci. Gesù da invitato, diventa invitante: compie il gesto inconfondibile dell’Ultima cena, della moltiplicazione dei pani. Da allora Cristo vuole entrare anche in noi, rimanere con noi, trasformarci, cambiandoci il cuore, gli occhi, il cammino. Il cuore del Vangelo è spezzare anche noi per i fratelli il nostro pane, il nostro tempo, condividere con loro il cammino della vita,, speranze e smarrimenti.
Nel momento in cui lo riconoscono nello “spezzare il pane” (è il suo Corpo spezzato), Lui si rende invisibile. Non sparisce, è ancora presente, davvero è vivo, è ancora con loro, è risuscitato e tutti i discepoli di tutti i tempi , possono entrare in comunione con Lui, spezzando il “suo Pane”.
La fuga triste da Gerusalemme diventa corsa gioiosa: non c’è più notte, né stanchezza, né distanza; il cuore è acceso e gli occhi vedono. Subito vogliono comunicare la loro esperienza agli altri discepoli, ma devono prima ascoltare altri che raccontano la loro esperienza. Nessuno è messo a tacere. Al di sopra di tutte le testimonianze c’è però l’apparizione a Pietro, come i primi cristiani dicevano nel credo: “è stato risuscitato secondo le Scritture e si è fatto vedere a Pietro” (1Cor 15,4-5a). Quali riflessioni per la nostra comunità? Gesù continua ad essere in cammino con tutti quelli che sono in cammino, è sulla nostra strada.
La più grande paura ci è raccontata nel libro della Genesi. Adamo ed Eva, dopo il peccato, si nascondono. Improvvisamente nei loro pensieri Dio fa paura: lo immaginano, dopo il loro peccato, pronto ad infliggere loro il castigo. Questa è la peggiore delle paure e parte dalla mancanza di fiducia. Anche noi abbiamo pensato o sentito dire: cosa ho fatto di male per meritarmi? Si sfigura il volto di Dio: diventa il Dio che toglie, non colui che dona. Un Dio che vuole rubarti la libertà. Un Dio che sembra interessato a controllarti come ti comporti, se osservi i comandamenti, non un Dio che ti ama come figlio e vuole la tua gioia.
Se dentro di noi il volto di Dio è quello di Chi ci guarda per giudicarci, noi cercheremo di fuggire da Lui, non lo abbracceremo come Tommaso dicendo: Signore mio e Dio mio. Questo è il primo dei peccati, e da questa immagine sbagliata di Dio, dal volto triste e senza gioia, nasce la paura delle paure.
Il vangelo che abbiamo ascoltato domenica, dove Gesù risorto incontra la sua comunità, ci ha rivelato il vero volto di Dio che è amore e misericordia. E’ il volto di Dio che come un papà o una mamma insegna al suo bambino a camminare. Quando cade non lo lascia a terra, ma lo rialza e lo rimette in piedi. E questo continua a farlo con pazienza e tante volte. Così Dio nei nostri confronti, come ci ha detto domenica Papa Francesco, ci dona continuamente la sua mano per rialzarci dalle nostre cadute.
Tanti pensano che è il coraggio quello che fa scomparire le paure. Alcuni di voi hanno già sottolineato che invece è la fede. Ma cosa vuol dire veramente aver fede?
Continueremo domani sera. Buona cena, e buona notte.
Questo rimprovero di Gesù ai discepoli, arriva anche a noi. Sembra strano che anche il giorno di Pasqua e poi in quasi tutte le apparizioni emerga questa paura.
Alla S. messa abbiamo ascoltato questa mattina, come gli Apostoli sono rinchiusi per paura nel cenacolo. Gesù li incontra e li manda in missione nel mondo. Ma otto giorni dopo sono ancora lì, rinchiusi per paura. Ci vuole tutta la delicatezza e pazienza di Gesù e il dono dello Spirito Santo che li rigenera, per trasformare la loro vita e far scomparire la paura. Anche in un momento di grande gioia com’è il loro incontro con Cristo risorto, sembrano come paralizzati, fanno fatica a credere. Gesù, rispettoso della loro libertà, senza imporsi, con delicatezza li esorta a superare la situazione.
Paura e fede lottano anche dentro di noi. Dio, con la sua parola ci invita a non aver paura. Pensate che per ben 365 volte troviamo questo invito nella Bibbia. Immaginiamo che ogni mattina Dio, dandoci il buon giorno ci dica: non aver paura.
Ma proviamo questa sera a guardare in faccia questi timori: c’è la paura del bambino, del malato, del povero, dell’aggredito, del morente, del perseguitato, del giovane, dei genitori e così via…
Quali sono le più grandi paure in noi e attorno a noi? Per età, quali sono le persone più in difficoltà. Quali sono le più difficili da far superare? Mandate i vostri messaggi e le vostre riflessioni.
Invito i ragazzi delle elementari a disegnare l’incontro di Gesù con Tommaso. Mostreremo in seguito i più significativi.
Domani sera continueremo il nostro dialogo, soffermandoci sulla più grande paura.
Care famiglie, quanta nostalgia dei vostri volti, delle vostre parole, della gioia dei momenti celebrativi della domenica. Dopo la Quaresima, stiamo vivendo con difficoltà questi giorni dopo la Pasqua. In attesa di tempi migliori, ho pensato di raggiungervi con i mezzi tecnologici, ogni sera alle ore 19.15 per tre minuti. Vorrei iniziare con voi un dialogo (come avveniva nei nostri incontri) su un argomento che il corona virus con forza ci ha posto dentro i nostri pensieri. Lo Spirito Santo ci sollecita a valorizzarlo, a sentirlo come dono prezioso per la nostra vita.
E’ il tema della Speranza. Ce lo ha detto la sera di Pasqua anche papa Francesco: tutti hanno diritto alla speranza. In questi giorni anche i bambini hanno preparato dei disegni con la scritta :”Tutto andrà bene”. Col passare dei giorni però ci sta capitando quello che hanno vissuto gli apostoli e i discepoli, rimproverati da Gesù, perché pieni di paura. Questa paura per il futuro pervade anche i nostri pensieri. Ci interroghiamo: qual’è la vera speranza portata da Gesù, è possibile oggi? Ci sembra tanto difficile. Eppure, in quanto battezzati, come dice S. Pietro, dobbiamo essere “pronti a rispondere a chiunque ci domandi ragione della speranza che è in noi”.
Questo sarà l’argomento delle nostre conversazioni. Vorremmo realizzarlo insieme, perché la verità è sinfonica, c’è bisogno di tutti. Partendo domani sera da dove siamo e cercando di progredire nella ricerca, senza possibilmente lasciare nessuno per strada. Per questo dialogo, vi invitiamo, dopo l’ascolto ad inviare qualche vostra riflessione (perplessità, intuizioni, suggerimenti… ) saranno preziosi per continuare il giorno dopo la nostra riflessione, il nostro dialogo. E’ un dono reciproco per tutti.
Vorremmo coinvolgere anche i bambini, i fanciulli e soprattutto i giovani. Questa sera partiamo dai bambini. Mi rivolgo in particolare a quelli della scuola dell’infanzia (ne sento la nostalgia: mancano le loro grida, qualche pianto, i loro sorrisi). Bambini, voi che siete bravi, mandate alle vostre maestre un bel disegno di speranza (colori …). Siete voi il nostro futuro e la nostra speranza. Li pubblicheremo sul sito Web della parrocchia.
Buona cena, buona notte… Continueremo domani sera partendo dalle paure che rendono difficili pensieri di speranza.
Ascoltate con attenzione il vangelo di questa domenica, che ci dà suggerimenti preziosi.
Considerata la natura e la numerosità del gruppo, si richiedono alcune attenzioni:
limitare commenti agli interventi altrui ed evitare di esprimere giudizi;
evitare di usare questo gruppo per scopi diversi da quello per cui è stato creato;
evitare di condividere documenti ed immagini di grandi dimensioni;
se si sente il bisogno di condividere qualcosa di particolarmente delicato, preferire il contatto diretto con don Gianni;
ricordarsi che si può ricorrere alla chat privata selezionando il membro del gruppo con cui si vuol chattare, senza coinvolgere gli altri per questioni che non li riguardano;
ricordarsi che si possono silenziare le notifiche per un anno intero, per cui far parte del gruppo non interferisce con le proprie ordinarie attività.